Associazione Culturale Il Frentano d’Oro.
Edizione XIII del 2010 al Prof. Giuseppe Rosato,
Poeta, Narratore e Saggista.
25 settembre 2010.
LA STAMPA:
IL MESSAGGERO, Mario Giancristofaro, Giornalista.
Il Frentano d’Oro è Giuseppe Rosato Per il 2010, sarà assegnato a Giuseppe Rosato, l’ambìto premio “Il Frentano d’Oro”. L’iniziativa, giunta al 13° anno, è un riconosciment o per un personaggio della Frentania che ha dato lustro alla propria terra di origine nel campo della cultura e delle professioni. Rosato, 78 anni, poeta, saggista, critico, scrittore, intellettuale tra i più apprezzati, è nato a Lanciano, dove è tornato a risiedere dal ’93, dopo una lunga parentesi a Pescara. L’associazione “Il Frentano d’Oro”, fondata e presieduta da Ennio De Benedictis, per la sua scelte si avvale delle segnalazioni di circoli culturali e personalità. Rosato, in particolare, è stato indicato da Franco Loi, genovese residente a Milano, critico e poeta tra i più noti in Italia.
“Mi permetto di segnalare – ha scritto Loi – la qualità letteraria di uno scrittore e poeta come Giuseppe Rosato che ha attraversato la storia del Novecento con la forza del suo pensiero e la umana e profonda musica della sua poesia”.
Il 25 settembre la premiazione al teatro Fenaroli.
Ricca la produzione di Rosato: dalla poesia ai racconti, dai saggi ai romanzi,
dalla critica all’arte. Tra l’altro è stato vincitore del “Premio Carducci” e del “Premio Pascoli”.
31 luglio 2010:
https://www.ilcentro.it/chieti/lanciano-frentano-d-oro-1.512879?utm_medium=migrazione
IL TEMPO
Il Frentano d’Oro 2010 al poeta e critico Giuseppe Rosato. Il riconoscimento, istituito dal rag. Ennio De Benedictis, tredici anni fa per i Frentani ancora in vita che diano lustro alla loro terra, vuole omaggiare un lancianese doc. La segnalazione al comitato dei Garanti… (leggi sopra)…
Ha insegnato lettere, passando anche per l’esperienza universitaria. Ha curato movimeti editorili: il “Quadrivio”, “Emblema”. E per la Rai ha lavorato dal ’61 al ’95. Ha collaborato con pagine culturali di molte testate giornalistiche. Ha ottenuto premi letterari tra cui il “Pascoli” 2010.
Altro della Stampa non più reperibile.
ALBO D’ORO dei GARANTI.
I Edizione 1998: Maestro MARIO CEROLI, Scultore, conosciuto in tutto il mondo e definito dalla critica internazionale il moderno Leonardo, che trasforma in arte i più umili elementi della natura. Alla cerimonia hanno partecipato in veste di relatori i critici d’arte Prof. Domenico Policella e lo studioso di Etnia Frentana Padre Gian Maria Polidoro Frate della Porziuncola Madonna degli Angeli di Assisi.
II Edizione 1999: Prof. MARCELLO DE CECCO, insigne Economista, Professore ordinario di Economia Monetaria, Storico ed Editorialista di prestigiose testate di giornalismo economico. Alla cerimonia hanno partecipato in veste di relatori il Prof. Luigi Spaventa, già Ministro del Tesoro ed il giornalista Paolo Gambescia.
III Edizione 2000: Prof. ALESSANDRO PACE, eminente Costituzionalista, Professore ordinario di Diritto Costituzionale. Alla cerimonia sono intervenuti come relatori il Prof. Leopoldo Elia emerito Presidente della Corte Costituzionale ed il Prof. Carlo Mezzanotte, Giudice Costituzionale.
IV Edizione 2001: Ing. GUERRINO DE LUCA, Amministratore Delegato e Direttore Generale della “Logitech International”, leader mondiale dell’alta Tecnologia. Alla cerimonia è intervenuto come relatore dagli Stati Uniti l’Ing. Enzo Torresi “Venture-Capitalist”, fondatore delle più prestigiose aziende americane di informatica.
V Edizione 2002: Maestro DONATO RENZETTI, Direttore d’Orchestra, nome tra i più insigni nel panorama concertistico nazionale ed internazionale. Alla cerimonia sono intervenuti quali relatori: il Prof. Walter Tortoreto Direttore dell’Istituto di Musica della Università degli Studi dell’Aquila ed il Prof. Piero Rattalino, Direttore artistico del Teatro Massimo di Catania.
VI Edizione 2003: Prof. DOMINIK SALVATORE, Economista, Professore Universitario alla Fordham University di New York, Consulente Economico delle Nazioni Unite, Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale. Alla cerimonia di consegna del premio sono intervenuti quali relatori il Prof. Carlo Pace, Presidente di Sviluppo Italia ed il Prof. Carlo Secchi, Magnifico Rettore della Università Bocconi di Milano.
VII Edizione 2004: Prof. TAZIO PINELLI, Professore Ordinario di Fisica Nucleare presso l’Università di Pavia, divenuto famoso nel mondo per avere condotto con la collaborazione dei Fisici Nucleari della stessa Università una lunga ricerca dedicata allo sviluppo di una originale terapia per la cancerosi diffusa negli organi umani mediante un innovativo trattamento con neutroni. Alla cerimonia sono intervenuti come relatori il Prof. Alberto Gigli Berzolari, già Presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, emerito Rettore della Università di Pavia ed il Dott. Stefano Graziani, chirurgo presso l’Ospedale “Renzetti” di Lanciano.
VIII Edizione 2005: Prof. DOMENICO de ALOYSIO, Professore Ordinario e Direttore della Clinica Ostetrica e Ginecologica presso la Università di Bologna. Relatori il Prof. Francesco Antonio Manzoli, Professore Ordinario di Anatomia Umana Normale della Università di Bologna e la Prof.ssa Maria Luisa Altieri Biagi, Professore Ordinario di Storia della Lingua Italiana, Accademica effettiva della Crusca e dell’Istituto delle Scienze dell’Università di Bologna.
IX Edizione 2006: NICOLA CERRONE, Maestro dell’Arte orafa, creatore di gioielli, la cui eleganza e raffinatezza di stile, fanno delle sue “Creazioni” delle vere e proprie opere d’arte. Alla cerimonia sono intervenuti come relatori l’Avv. Prof. Gerardo Brasile, noto storico e critico d’arte ed il Dott. Domenico Maria del Bello, Ispettore Archivistico Onorario per l’Abruzzo.
X Edizione 2007: Professor ENIO MARTINO, Professore Ordinario di Endocrinologia presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia della Università di Pisa e Direttore del Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo della Clinica Universitaria. Relatori i Proff.: Giulio Giordano e Gaetano Lombardi, Docenti universitari.
XI Edizione 2008: Dottor LUCIO TROJANO, umorista-grafico di fama internazionale, autore di numerosi pubblicazioni e vincitore di prestigiosi premi nazionali ed esteri. Relatori: la Principessa Delfina Metz, scrittrice ed il Dott. Ennio Bellucci, Giornalista RAI.
XII Edizione 2009: CICCI SANTUCCI, Musicista. Autore di una notevole produzione discografica. Noto nel mondo soprattutto agli appassionati di jazz sia come compositore sia come interprete. Relazione musicale con esecuzioni brani jazz.
PRESENTAZIONE del Giornalista Mario Giancristofaro.
È tarda mattinata dello scorso fine luglio, sole che picchia duro e afa che toglie il respiro, quando parlo al telefono con Peppino Rosato su qualche dettaglio del Premio che l’Associazione “Il Frentano d’Oro” ha deciso di attribuirgli.
«Mario – mi dice – ti ringrazio soprattutto perché, con questo caldo che c’è, ti preoccupi di me e delle mie piccole cose».
Ecco, la capacità di smussare l’enfasi, di parlare diretto e con parole semplici, come solo i Grandi sanno fare.
Già piccole cose! Altri, con la dovuta autorevolezza, diranno in questa pubblicazione quali sono le “piccole cose” che Rosato, in tanti anni, ha consegnato, e ancora continua a consegnare, alla storia della poesia, della narrativa, della critica, del giornalismo e di tante altre attività culturali. Io voglio solo tentare di esternare qualcuna delle tante idee che mi sono balzate in mente nel momento in cui l’associazione, di cui mi onoro di far parte, ha ufficializzato la scelta di assegnare a Peppino Rosato il “Frentano d’oro 2010”.
Ma devo subito confessare che questa volta trovo difficoltà a scrivere del “Frentano d’Oro”. Come non mai, da quando, e sono ormai tredici anni, presento il Premio. Premono i ricordi, i sentimenti, i luoghi e i volti, ma le parole sono come bloccate.
Dicevo, i volti. Forse non dovrei parlarne, forse vado a toccare affetti che dovrebbero restare solo nel cuore di chi li ha vissuti in un lungo percorso di vita. Mi scuso, per questo. I volti. Lo dico tutto d’un fiato:
non riesco a pensare al volto di Peppino, senza che mi appaia quello di Tonia. E, in questa occasione, mi viene anche un forte senso di colpa, e sono certo che si sentano in colpa anche gli altri amici dell’Associazione. Perché, questo Premio a Peppino Rosato avremmo dovuto assegnarlo qualche anno fa, quando ancora accanto a lui c’era la sua inseparabile Tonia.
Vorrei parlare di Tonia e di Peppino, ma penso di non saper trovare le parole giuste e allora permettetemi di tenere per me sentimenti e parole, di custodirli nel mio animo, avendo già avuto il privilegio, assieme a mia moglie Letizia, dell’amicizia di Tonia e Peppino.
Ma torniamo al “premiato”. Rosato ha un profondo senso civico e lo rammarica il fatto che, su questo fronte, la sua Lanciano, che tanto ama, dove è nato e dove è tornato a vivere, dopo molti anni trascorsi a Pescara, mostri più di una lacuna. Non sopporta, ad esempio, che lungo Corso Roma, dove abita, non si possa camminare tranquillamente a piedi e si sia costretti, invece, a districarsi tra macchine in sosta e altre macchine che sfrecciano veloci.
A riguardo, sul giornale su cui scrivo, “Il Messaggero”, ho pubblicato una lettera stupenda di Rosato, dove l’arguzia e l’ironia nascondevano una profonda amarezza. Altre volte mi ha passato appunti e note sulla città: purtroppo non sempre sono riuscito a farli pubblicare perché anche i giornali adesso rincorrono un altro genere di notizie. Così come poche volte mi hanno pubblicato le recensioni alle sue opere. Io resto mortificato, ma Peppino mi rincuora sempre perché, per aver a lungo praticato il giornalismo, conosce bene pregi e difetti della stampa.
Per la produzione letteraria di Rosato, a parte gli interventi che riportiamo in questa pubblicazione, mi piace ricordare la lettera inviata all’associazione da Franco Loi, nativo di Genova e che vive a Milano, critico e poeta tra i più noti in Italia. «Mi permetto di segnalare alle loro persone – ha scritto Loi – la qualità letteraria di uno scrit- tore e poeta come Giuseppe Rosato che ha attra- versato la storia del Novecento con la forza del suo pensiero e la umana e profonda musica della sua poesia».
Ripete sempre il nostro presidente Ennio De Benedictis che “questo è un “Premio” immortale perché va a persone che lasciano opere immortali”.
Verissimo, come testimonia l’Albo dei premiati. Il nome di Giuseppe Rosato si aggiunge a quelli dello scultore Mario Ceroli, l’economista Marcello De Cecco, il costituzionalista Alessandro Pace, il manager dell’informatica Guerrino De Luca, il direttore d’orchestra Donato Renzetti, l’economista Dominik Salvatore, il fisico Tazio Pinelli, il ginecologo Domenico de Aloysio, il “re dei diamanti” Nicola Cerrone, l’endocrinologo Enio Martino, l’umorista grafico Lucio Trojano, il musicista Cicci Santucci.
Ancora una volta: signori, giù il cappello!
La Motivazione del Comitato Direttivo dell’Associazione, 25 settembre 2010.
Giuseppe Rosato ha dedicato oltre sessant’anni alla scrittura creativa: poesia, in misura prevalente, e poi narrativa, prosa di costume, satira, giornalismo d’opinione.
Intanto veniva articolandosi su specifici fronti il suo lavoro di critico militante, come saggista, recensore, storico e cronista delle Arti visive.
La sua poesia, riconosciuta da premi importanti, tra i quali il Carducci, a Pietrasanta nel 1960, e cinquant’anni dopo il Pascoli, a San Mauro Pascoli nel 2010, ha trovato l’apprezzamento di Critici di rilievo: da Pasolini a Loi, da Titta Rosa a Tesio, da Pomilio a Walter Mauro, Luciano Luisi, Amedeo Giacomini, Giuseppe Cassieri, Giuliano Manacorda, Giacinto Spagnoletti, Raffaele Crovi.
Ricordiamo che alla prima raccolta di versi, L’acqua felice del 1956, é seguita una vasta produzione (collateralmente alla poetica quella di prosa), proposta di tempo in tempo sempre con una riservatezza e un pudore che dimostrano come egli cercasse nella scrittura non altro che l’intimo appagamento. Ed é questo che connota, con lo Scrittore, l’Uomo.
Come questi due termini, queste due realtà, siano speculari, lo dichiarano la rigorosa coerenza della sua opera e l’immutata visione della vita che essa esprime.
Ed é in considerazione di questo suo profilo anche umano, che la nostra Associazione ha deliberato di conferirgli il Frentano d’Oro Edizione 2010.
TESTIMONIANZE: Giulia Alberico, Enzio D’Antonio, Domenico Logozzo, Franco Loi, Alfredo Sabella, Guido Scotti, Roberto Pappacena, Edoardo Tiboni.
Giulia Alberico.
Ho conosciuto Giuseppe Rosato una decina di anni fa. Lui e la sua famiglia sono entrati a far parte dei miei affetti e, insieme alla moglie Tonia, Rosato é tra i pochi amici con cui ho condiviso, in incontri molto domestici, passioni e interessi letterari, gusti, opinioni. Sono stati, entrambi, parte di una relazione intellettuale cui devo moltissimo.
Il mio incontro con Rosato è avvenuto attraverso una raccolta di versi:
Oh l’inverno! che era stata proposta, insieme ad altre due sillogi, ad alcune classi della scuola in cui prestavo servizio. A riprova che i ragazzi non sono alieni dalla parola poetica, quand’è carica di intensa autenticità, Oh l’inverno! fu amato, discusso, commentato e ottenne il gradimento più alto tra le opere proposte, tutte di alto livello (era presen te anche un’opera di Adonis). Ebbi modo, poi, di conoscere l’Autore e da allora ho seguito tutti i suoi lavori successivi mentre, in modo bustrofedico, andavo immergendomi, a ritroso, in quel che già aveva pubblicato e mi era ignoto. Di lui mi colpivano certe immagini folgoranti e la potenza della parola, a volte affilata come un bisturi. Ne riconoscevo la forza evocativa e trascinante che è propria della parola letteraria quando è tale.
Maestro come pochi nell’uso sapiente del metro, del ritmo, delle figure retoriche, gli sono grata per non aver mai tentato, né in prosa né in verso, un elitarismo criptico, una ricerca di oscurità concettuale, una narcisistica volontà di specchiarsi, come è di tanta poesia o prosa che, inevitabilmente, non riesce ad avvicinare il lettore.
La parola di Giuseppe Rosato è piana, chiara, raggiunge chi legge come acqua che scorre, limpida.
Giuseppe Rosato è poeta in lingua e dialetto, critico letterario e d’arte, prosatore che s’è espresso in generi vari: novella, romanzo breve, opere satiriche, aforismi, parodie, è stato autore di servizi culturali e programmi RAI. Ha fondato riviste e premi letterari, di molti è stato ed è giurato, ricordiamo solo il Flaiano per il quale ha ricoperto il ruolo di segretario dal 1974 al 1993. Numerosissimi i premi che gli sono stati attribuiti e troppo vasta la sua opera per poterla qui ricordare tutta.
Quali sono i fili che attraversano una così lunga e prolifica produzione?
E’ possibile rintracciare dei percorsi comuni in opere che, dal punto di vista del genere, sono di ‘famiglia’ diversa?
A me pare di sì, visto che le forme sono solo l’abito più adatto che l’Autore sente congeniale alla sua urgenza letteraria del momento, mentre i nuclei di poetica, pur declinandosi nel tempo, restano quelli sorgivi, quelli da cui muovono le prime prove. In Rosato coesistono i temi della Memoria (di luoghi e di affetti), delle Passioni Civili (per l’Arte, la Letteratura, la Politica), dell’Etica (come necessità morale).
La poesia di Giuseppe Rosato nasce, com’è della poesia alta, da una condizione di perdita, di orfanezza, di doloroso esilio da un tempo e una condizione che sono stati, conservando memoria di un’età perduta in cui il dolore era ignoto.
E questa dolorosa percezione di esilio, della fatica e al tempo stesso del miracolo del vivere nulla ha a che vedere con fatti cronologici, con rimpianti di età anagrafiche e infanzie reali. Si tratta piuttosto di una ineffabile, alla lettera, sensazione di nostalgia, e insieme all’impossibile desiderio di nostos, di tensione verso qualcosa di inafferrabile che sta di fronte, voce di sirena, ma che ci raggiunge solo come una eco, un baluginìo.
La parola letteraria, come è quella di Rosato, sia essa di prosa o verso, è sempre una parola che dà conto di una ricerca di senso al vivere, quand’anche testimoni in apparenza, l’impossibilità di trovare un senso nel groviglio quotidiano dell’esistenza.
Rosato traduce in parola scritta la propria incantata, sofferta, epifanica esperienza del mondo, dell’amore, del dolore. Soprattutto le scritture brevi (come La neve al cancelletto di partenza), sembrano prestarsi, per la loro stessa natura formale, ad esprimere con levità sentimenti di disincanto, solitudine, matura e ironica saggezza, interrogativi su un improbabile Aldilà. Una ironia sottile, una inclinazione al surreale, al fantastico, al paradosso caratterizzano parte della sua opera, soprattutto in prosa. Il regno di Boccuccia, La casa del prete, sono tutte rappresentazioni di impianto realistico che però guardano al reale con una lente ’eccentrica’ che, sola, può servire a cogliere le ‘deformazioni’ e le alterazioni che infettano corpi e anime (come in Normali anomalie). Dietro questa cifra satirica e surreale, c’è sempre uno sguardo fortemente impregnato di passioni civili e di tensione morale che si dispiega in canto come ne La vergogna del mondo. Non è l’invettiva la cifra di Rosato, piuttosto una sorridente, straniata e dolorosa coscienza del vivere sulla linea pirandelliana o flaianea.
Alla lezione di quest’ultimo sono strettamente apparentate le raccolte Diamoci da dire e In punta di spillo dove, come recitano i sottotitoli, con leggerezza (non priva di sferzante e talvolta amaro sorriso) l’autore dice la sua su aspetti di vita sociale e di costume. Sono piccoli tic, frammenti del quotidiano, risvolti del tempo presente che egli annota, con l’acutezza di un entomologo.
Da quando Tonia lo ha lasciato il tema dell’Assenza ha permeato di sé la più recente produzione poetica di Rosato (come Traccia di beltà). E’ vero che si tratta di recupero e assemblaggio di versi scritti in un arco di tempo lungo, quasi tutti precedenti la perdita dell’amata Tonia, ma queste sillogi restano pur sempre dei lavori licenziati in questi ultimissimi anni. E, dunque, sono di oggi i bilanci di un lungo discorso amoroso, la storia di un incontro che s’è fatto viaggio per cinquant’anni, un’avventura che ancora dura. A mio parere Traccia di beltà costituisce uno dei canzonieri più belli della nostra poesia nazionale di ogni tempo.
Nella fedeltà ai luoghi frentani, alla sua Lanciano, sta poi un altro ricorrente tratto dell’opera di Rosato. Una terra e una città amate, certamente, ma anche vissute come un contenitore di mondo e di varia umanità. E perciò stesso che poco o nulla hanno di localistico o di folklore.
Lanciano (e questo vale anche per il suo dialetto/lingua materna) è il Luogo di nascita e ritorno nella vita reale, nei dati biografici ma fa parte anche e soprattutto, di una geografia interna, del cuore, quella da cui si origina la poesia e la creatività.
Enzio D’Antonio
Genialità di gioventù
Negli anni verdi “di nostra vita” un piccolo gruppo di amici aveva inventato uno stravagante sodalizio, scimmiottando gli antichi ordini cavallereschi, nel quale ero stato eletto a cappellano, solo per avere qualche lustro in più sugli altri.
L’amalgama che li univa l’uno all’altro era la comune esperienza associativa nell’Azione Cattolica da ragazzi, e in quel particolare periodo le storie di cuore che si dipanavano tra slanci, delusioni e insuccessi.
Pochi, di varia estrazione sociale, con diversi indirizzi di studi, ognuno con un buon campionario di risorse e grandi ideali per cambiare il mondo. I loro nomi? eccoli: Vincenzo Basciano (detto Bascianello), Gigi De Cecco, Giovannino Guardi, Lucio Marongiu, Peppe Rosato, Gerardino Sabella.
Il mondo non l’hanno cambiato, però vi introdussero molti fermenti, allora con l’estro goliardico della giovinezza; dopo, nell’esercizio della professione, lasciando il segno della loro perspicacia e vivacità culturale.
Peppe Rosato era l’indiscusso animatore della compagnia, scanzonatissimo dalla mattina alla sera, fecondo di idee brillanti per ogni occasione, spesso temerariamente travolgente, davvero in linea con il detto lancianese: “Une ne fa e ccènte ne pènse’.
Quando la sua verve era in ebollizione, congiungeva il pollice della mano con il dito medio e scampanellava con l’indice a mo’ di nacchera. Sono nate così battute, freddure, sceneggiate, aforismi ed altre salaci e fortunate esibizioni ricreative e seriose.
Tanto per esemplificare, così accadde quando fu preparata una irridente satira politica radiofonica, Zibaldone n. 1 e Zibaldone n. 2, registrata su un vecchio “Geloso” con nastro a filo, e trasmessa in piazza Plebiscito e piazzale della Stazione, gremite all’inverosimile di lancianesi accorsi in migliaia ad ascoltare. Correvano gli anni Cinquanta del secolo scorso, quando le consultazioni elettorali erano vissute con passione viscerale ma anche con fare disincantato.
Per il divertimento dei piccoli e dei grandi Peppe scrisse e diresse varie “riviste musicali”. Ne ricordo due, rappresentate nel 1953 da un nutrito cast di giovani attori alle prime armi: Oggi, ieri e… domani, con replica, e Scalinatella longa longa, con due repliche.
Qualcuno potrà pensare che l’arguzia, l’umorismo di Peppe sia spuntato per contagio dall’amicizia con Ennio Flaiano. Macché, sono doni che vantava.., fin dalla culla! Da ragazzo, poi, si era fatto editore, direttore, redattore, cronista, vignettista dì un giornalino associativo, diffuso in un unico esemplare, coloratissimo, manoscritto, che si contendeva la platea on altri “fogli” concorrenti: giornalismo sale e pepe, spassosissimo, che potrebbe avvincere ancora oggi; i cimèli di quei giornalini giacciono per pudore negli archivi personali.
Il cervello vulcanico del Nostro si cimentava anche in ricerche serie. Era appena ventenne (questa è una notizia che regalo agli amici) quando pubblicò un volume, compilato a quattro mani, di cui do l’indicazione bibliografica: G. Rosato – G. Guardi, Antologia dei Moderni, C.E.T. Cooperativa Editoriale Tipografica, Lanciano 1953, pp. 202. Fu il primo dei numerosi libri che oggi costituiscono il vanto di una lunga e multiforme attività culturale.
Riprendo l’incipit di questa mia testimonianza. Il bizzarro sodalizio finì per dissolversi perché tutti, chi per studi, chi per lavoro, chi per servizio militare, emigrammo da Lanciano e ciascuno percorse il proprio itinerario di vita.
La fraterna amicizia che ci 1egava si è conservata sempre intatta perché era germogliata dalla freschezza e sincerità dei sentimenti.
Scia ‘ccise la vecchiaje, per dirla con una recente pubblicazione di Peppe, che oggi non ci permette più di rivivere quel breve ma intenso periodo della gioventù.
Domenico Logozzo.
È un pezzo di storia indistruttibile della Rai. Un uomo di lettere e di arti che ha lasciato il segno dentro e fuori la più grande azienda culturale d’Italia. Un patrimonio di saperi al quale hanno attinto generazioni di studenti e di migliaia di utenti della radio e della televisione abruzzese.
Fonte inesauribile per decenni e sempre attiva, anche dopo il pensionamento, Peppino Rosato appartiene a quella feconda schiera di intellettuali che hanno sempre posto in cima ai loro interessi il bene comune.
Ha attraversato epoche diverse e difficili: ma è rimasto sempre se stesso. Il signore della cultura.
Tanti capitoli di un grande libro di riflessioni e di ricordi, piacevoli e meno piacevoli. Ostacoli superati con la forza dell’intelligenza, contro ogni malvagia furbizia. Il vecchio Abruzzo. Gli anni duri: l’analfabetismo, la disoccupazione, l’emigrazione, il dopoguerra, la ricostruzione. Gli anni della speranza: le industrie, le strade, le autostrade, la crescita economica, le università, la fine dell’emigrazione di massa. Il nuovo Abruzzo, che però non sapeva e non voleva rinunciare alle antiche e sane tradizioni. La cultura contadina, i valori insostituibili ed inimitabili del dialetto, ”suoni di versi” che Peppino Rosato sa ben raccordare, tra presente e passato. Nuove forme, attualissime, nessuna contaminazione, però. La riflessione che sembra immobilità, ma è invece ampia mobilità che spazia nel tempo, che non è vuoto, ma pieno di sentimenti e di passione. Ha ragione Franco Loi quando scrive che Giuseppe Rosato è uno di quei poeti appartati che han dato vita alla letteratura italiana, sia con gli studi che con la loro opera, e proprio per questo mi è difficile tracciarne un profilo che non sia anche nel segno della sua intelligenza e della sua modestia.
Sì, intelligente e modesto. Così l’ho conosciuto e apprezzato negli anni che ho avuto la fortuna di poter ammirare i servizi radiofonici e televisivi realizzati per la redazione abruzzese, prima che andasse in pensione. Sapeva proporre e sapeva ascoltare. Mai nel suo comportamento c’è stato un atto scortese o una mancanza di chiarezza.
Sia nei rapporti umani che in quelli professionali. Rispettava chi lavorava con lui e si faceva rispettare. Gentilezza e signorilità. Un galantuomo.
Un critico di alto ingegno. Un fine letterato che alla Rai ha lasciato in eredità materiali culturali di immenso valore. Un patrimonio che è un bene di tutti. Ed è un bene per tutti che Giuseppe Rosato abbia contribuito con passione e competenza ad arricchire un archivio storico senza eguali in Abruzzo. Non amava mettersi in mostra. Ma è stato e continua ad essere un maestro di vita. A scuola come in Rai.
Ed oggi è nella sua Lanciano, dove la sua penna resta sempre fluente e il pensiero lucido e pungente. Un uomo d’ingegno che ha avuto come compagna una “scrittrice raffinata, Tonia Giansante, donna piena di fede, moglie e madre amorosa”, scrive Franco Loi. E aggiunge:
Sento anch’io il vuoto che ha lasciato, e posso appena intuire il vuoto in cui si muove Peppino.
Un vuoto incolmabile. Peppino ha intitolato alla moglie un premio letterario che si contraddistingue per la serietà e la rigorosità. E questo per rendere omaggio all’amata Tonia, che ricorre sempre nei discorsi di Peppino, nei pensieri e nei versi. Un esempio? Basta sfogliare “Lu scure che s’attonne” la pubblicazione di versi in dialetto abruzzese, che il poeta mi ha regalato a Natale dello scorso anno. Leggiamo: “E mò stàrese ferme, a ‘n fa’ nijènte, nen dice’ na parle, a nen penzà, o penzà solamente ca nen ce sta nesciune all’altra càmere”. (Ed ora starsene fermo, a non fare niente, non dire una parola, a non pensare, a pensare solamente che non c’è nessuna all’altra stanza). Attestazione d’amore sgorgata dal cuore eternamente innamorato di un uomo di 82 anni che riesce a trasmettere sentimenti vibranti e a far vedere con l’immaginazione le magiche stanze dove alberga l’amore, un sentimento mai spento, neppure dal crudele destino.
Peppino Rosato, dicevamo, non ama mettersi in mostra. Ieri come oggi. Con molta discrezione mi segnala l’uscita dei suoi libri. E non chiede la pubblicizzazione. Un omaggio e niente più. Immenso anche in questo. Perchè sa che la vera arte cammina da sola, non ha bisogno di “pubblicità”. E sì, la cultura non è un dentifricio o un cosmetico da “piazzare”. Gli “applausi” finti non servono. Perchè sono un inganno. Per tutti. In merito Peppino Rosato ha le idee piuttosto chiare. E come potrebbe essere altrimenti? Ho sotto mano il “Piccolo dizionario di Babele”, che ha pubblicato con la casa editrice Stilo di Bari nel novembre del 2009. Scrive: “Oggi la parola, ovvero le parole, si fanno carne, ma da macello, strumento perverso assunto per guadagnarsi il governo della terra, in una confusione tale da far pensare che preluda ad una novella Babele”.
Andiamo poi a pagina 9. Troviamo una riflessione dal titolo significativo: “Applausi”. Leggiamo: “Si applaude a Ballarò, si applaude a Porta a Porta, si applaude a Matrix, alla Domenica Sportiva, a Studio Sport, al Processo di Biscardi, agli show serali, domenicali, mattutini, a ognuno degli innumerevoli “numeri” che affollano i contenitori tv di ogni santo pomeriggio: il consenso in televisione è pieno, assoluto, totale. Sempre. Tutti battono le mani a tutti e a tutto. Quali che siano gli argomenti e le argomentazioni, i protagonisti e i comprimari, gli ospiti fissi e di passaggio, non c’è mai ombra di dissenso, mai un tentennamento di testa colto dalla telecamera in transito sul pubblico. Mai un’obiezione, men che meno una levata di scudi: sempre e solo una levata di mani, tenute vistosamente alte per garantire la visibilità dell’applauso. Un popolo (televisivo) di plaudenti. La condivisione assoluta e generale. E, naturalmente, il licet incondizionato a continuare così”.
Peppino Rosato merita invece, sì che li merita, scroscianti applausi per il “Frentano d’Oro” che gli è stato assegnato dalla Città dove è nato e nella quale è ritornato dopo essere andato in pensione. Un legame forte con le radici, con la generosa Terra frentana, che ha dato alla cultura italiani tanti illustri Personaggi. Peppino ha contribuito a far crescere l’Abruzzo, nel segno del- l’onestà intellettuale e dell’integrità morale.Un esempio per le giovani generazioni. Da tenere sempre presente.
Franco Loi.
Per Giuseppe Rosato.
Come si può ripercorrere la complessa e ricchissima vita e opera di uno scrittore come Giuseppe Rosato? Scrivevo tanti anni fa che “è essenziale in Rosato ciò che qualcuno ha chiamato ‘la maledizione del pensare’ ..(…).. Il suo stesso stile ha gli andamenti del pensiero, ed è l’assuefazione al meditare a farci riflettere sovente sulle ossessioni del tempo, sulla morte, sul sogno nel trascorrere inavvertito dell’esistenza”.
Scrittore e poeta in italiano, spesso ironico e satireggiante, alla maniera di un suo maestro, Ennio Flaiano, è però nella Poesia frentana che più facilmente l’Autore si abbandona ai momenti partecipativi dell’esperienza, alla ritmica e sonorità emozionali.
Basta ripercorrere con lui le sequenze contemplative dei paesaggi lancianesi, gli incantamenti notturni e diurni della luminosità nevosa o i ripiegamenti sull’infanzia e la gioventù o le risonanze amorose verso la sua indimenticabile Tonia, versi quasi sempre sorretti dal tremore melodico e dalla struggente sonorità meditativa. Ma qui mi sembra opportuno riprendere una sua lirica in italiano che a me sembra indicativa del doloroso sostare del Poeta alla soglia impenetrabile del mistero senza lasciarsene attrarre per l’incessante ritrosia della mente: “È la luce del cielo della neve / che di più s’avvicina all’ignota / altra luce che poi vedrà risplendere / chi ne dice sicura l’esistenza. / Una luce così è d’altra vita, / lì ferma, tanto quanto invece qui / al sereno già cede / che la nasconderà tra poco / dietro un cielo di stelle, breve / troppo breve la grazia / per chi la sola pena lega / terrena”.
A me sembra che questa drammatica immagine valga più di qualsiasi altro discorso. Vi si riconosce il riflesso della cultura di un’epoca, il drammatico guardarsi allo specchio del nostro tempo nel momento del decadere di ogni ideologia e teologia. Non si tratta di condividerne la negatività, la resa a ogni ulteriore speranza, ma riconoscerne l’essenza fondante di una visione filosofica che coinvolge la nostra storia e tutta la nostra vicenda personale. E, nel giorno in cui la sua Città gli offre un prestigioso riconoscimento, mi pare importante, oltre che sottolineare la qualità del suo percorso poetico, richiamare ognuno di noi a quella soglia quale punto di partenza per la rinascita di una nostra futura coscienza.
Alfredo Sabella.
Vicinanza e distanza da un poeta.
Sono stato sollecitato a scrivere qualche nota in onore del concittadino Giuseppe Rosato, scrittore e poeta di alto spessore, e ben volentieri aderisco alla richiesta, affrettandomi a precisare che mi asterrò da qualsiasi valutazione della sua opera, perché non ho la competenza e la capacità per farlo.
Data la mia età (sono un vegliardo di 88 anni!!!) mi riesce più facile e più congeniale mobilitare le esigue forze intellettive a mia disposizione, e parlare di un mondo paesano che è passato, ma che, in gran parte, è comune anche a Giuseppe Rosato.
Fino al 1945, la nostra Lanciano, grosso modo, viveva ancora rinserrata entro la cerchia delle vecchie mura urbiche: le Torri Montanare, il Torrione Aragonese, i Bastioni, Porta S. Biagio, l’unica superstite delle vecchie porte medievali.
Con la fine della seconda guerra mondiale, le città e i borghi dell’Italia hanno subito l’effetto della “esplosione urbanistica”. Questo ha comportato la vanificazione della identità comunitaria che esisteva tra gli abitanti dei “quartieri” di antiche città.
Ad esempio, quelli che abitavano, a Lanciano, nel quartiere di Civitanova (il quartiere dove è nato Giuseppe Rosato) si conoscevano bene l’uno con l’altro, in virtù della vita quotidiana. Era una vita condizionata da un ovattato silenzio e dalla liturgica ripetizione di fatti, che erano sempre gli stessi, e che si verificavano sempre alla stessa ora, avendo per protagonisti sempre gli stessi personaggi.
Alle ore 9, usciva dal suo palazzo sormontato nell’atrio da uno stemma nobiliare, Don Filippo, un docente emerito di Diritto romano, con un mezzo sigaro semispento tra le labbra, mentre la cenere del tabacco bruciato gli ricadeva sulla camicia e sul bavero della giacca.
Sempre insieme, passavano due stimati artigiani che esercitavano la professione di “accordatori” di pianoforti.
Quando Don Giovanni, l’arciprete di Santa Maria Maggiore girava l’angolo imboccando la lieve salita per raggiungere il portale d’ingresso della Chiesa, le donne del quartiere non avevano bisogno di consultare l’orologio, perché sicura- mente segnava le 12, 30! e perciò si affrettavano per preparare il pasto di mezzodì.
Un mondo felice? Macché!! Proprio per niente, giacché la condizione economica generale era sotto gli effetti negativi della terribile crisi del 1929. Gli emigranti negli U.S.A. avevano rallentato o smesso di fare rimesse di dollari, e molte famiglie faticavano per mettere insieme pranzo e cena.
Dopo tutto, epoche “felici” non sono mai esistite; ed è soltanto un auto inganno quello di cadere nella trappola del noto luogo comune che ci induce a rimpiangere i bei tempi di una volta! Mio padre, Raffaele Sabella (1890-1955) era intimo amico di uno zio di Giuseppe Rosato, Pierino Salvatore, che aveva trascorso diversi anni in Argentina. Quando Pierino Salvatore tornò in Italia (credo nel 1921) regalò a mio padre un “calzatore” (un calza scarpe) che era tenuto in grande pregio dal mio genitore. Era di buon metallo, e portava incisa questa scritta “Salvatore La Morgia grande zapateria: Tucuman!”
Chi mai fosse questo Salvatore La Morgia non l’ho mai saputo! Il cognome però, lo fa per certo di origine lancianese.
Frequentavo le prime classi del ginnasio e zoppicavo nel Latino, perciò mia madre mi mandò a ripetizione da donna Tittina Somma, che abitava in un vico dove c’era anche la casa dei parenti materni di Giuseppe Rosato. Donna Tittina, quando si sposò, andò a vivere a San Demetrio nei Vestini.
Mi era compagno di questo doposcuola, un ragazzo che indubbiamente aveva meno voglia di me di studiare. Alla domanda rituale: “che compiti ti sono stati assegnati?” rispondeva con improntitudine: “Nulla!”
Donna Tittina, risolveva la questione in questo modo. Il cortile interno della sua abitazione era comune con l’abitazione di Rosanna La Morgia, compagna di classe del mio amico svogliato. Donna Tittina la chiamava; Rosanna si affacciava nella finestra sovrastante e sbugiardava il mio amico! E così il problema dei compiti assegnati veniva risolto.
Rosanna La Morgia era una bella ragazza, ed aveva un volto caratterizzato da una espressione dolcissima. Troppo presto fu strappata alla vita. Era cugina di Giuseppe Rosato.
Nel marzo del 1946, a Lanciano, ci furono le prime elezioni democratiche per la nomina del Sindaco e del relativo consiglio comunale.
Vinse la “Concentrazione Democratica Repubblicana” che faceva capo all’Avv. Alberto Paone, e che fu eletto Sindaco. Don Alberto dovette faticare le proverbiali sette camice per far desistere sia mio padre sia Pierino Salvatore da un loro proposito. Eletti entrambi consiglieri comunali, insistevano nella pretesa che, il giorno dell’insediamento del consiglio, la banda cittadina eseguisse “la Marsigliese”. La pretesa era senza dubbio assurda, ma perché possa essere compresa è necessario ricordare che tutti siamo figli del tempo in cui viviamo la nostra adolescenza.
Mio padre e Pierino Salvatore erano nati e cresciuti a cavallo tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, ed erano succubi degli strascichi del “mito” della grande rivoluzione francese. “La Marsigliese è l’inno della libertà!”, insisteva a ripetere Pierino Salvatore.
Non per giustificare la proposta del mio genitore e del suo più caro amico d’infanzia, ma per renderla comprensibile, voglio ricordare che, nell’anno 1909, uno scrittore russo, Leonida Andrejev, pubblicò un romanzo intitolato “I sette impiccati” che, a suo tempo, ebbe un notevole successo editoriale. In questo romanzo, c’è l’episodio commovente dell’atto di ribellione che ebbero i condannati, allorché conobbero il loro triste destino. A dispetto dei carcerieri, intonavano la “Marsigliese”. Aveva ragione Pierino Salvatore: è l’inno della libertà! Un “mito” senza dubbio, ma che affascinò tanti popoli europei, e che durò fino a quando non nacque un altro “mito”, quello della rivoluzione sovietica, che induceva a ritenere che l’URSS fosse la “patria” del proletariato.
Nel secolo che abbiamo alle spalle c’è stata la rivoluzione “sessantottina”, quella che insegnava a ritenere che fosse proibito proibire, e che il vero realismo consistesse nel chiedere l’impossibile. Tra l’altro, questa rivoluzione sessantottina ha sradicato i pudichi sentimenti che hanno accompagnato tante generazioni che sentivano nascere nel petto i fremiti dell’amore.
Oggi, nel pieno sviluppo dell’industria chimica, per fare l‘amore si ingeriscono pillole: per essere prestanti i maschi; per evitare non desiderate maternità, le donne.
Quali fossero i sentimenti di un tempo, li possiamo cogliere andando a rileggere vecchie poesie di Giuseppe Rosato, inserite in un libretto molto raro, edito a Pescara nel 1967, ed intitolato “Poesia in forma di cosa?”
Con tenerezza toccante, unita ad un soffio d’ironia che l’avvicina al conterraneo Ennio Flaiano, Rosato ci ha dato una felice ricostruzione di come abbia avuto inizio la sua vicenda d’amore con la donna che poi sarebbe diventata sua moglie.
È bello rileggere i versi:
Ricordi? Cominciò in banca!
Ci si trovava ogni primo del mese (ma se il primo era sabato, il tre, se domenica il due) anca ad anca per la fila delle cambiali.
Poi, il testo poetico acquista toni più dolci, come il sussurro di una confessione a fior di labbra:
Ci sposammo un mattino presto!
finché si arriva all’estasi della tenerezza maritale:
E una sera tu mi dici: sai mi pare tempo di dare un effetto alla nostra unione matrimoniale.
Un affetto-effetto, in carne ed ossa di figlio. Un figlio”… Già dire il nome è toccare del futuro una proda.
Ci pensi? Avremo chi andrà per noi in banca a fare la coda!”
Giuseppe Rosato, con finezza di artista, copre con un velo di ironia i suoi sentimenti. Quale commento?
Prendo lo spunto dal titolo dell’ultimo lavoro di Rosato, intitolato “Distanza”, un libro che ha ricevuto una meritata critica da parte di Claudio Marabini sulla “Nuova Antologia” (Aprile-Giugno 2010).
Io, per l’età che ho raggiunto, sono restio a prendere “distanza” da quel piccolo mondo paesano che ho cercato di ricordare. Perciò, deliberatamente, sono tornato al libro del 1967 di Rosato, nel quale, tra un’ironia ed un lazzo, c’è il rimpianto per una realtà che sarà presto travolta dal tempo e che ciascuno che l’ha vissuta, potrà conservare nel proprio cuore, come meglio potrà.
Concludendo dico solamente queste due parole: Grazie, Peppino!
Guido Scotti.
Mi è stato chiesto di scrivere qualche riflessione sulla figura di Giuseppe Rosato, insignito del Frentano d’Oro; lo ritenevo superfluo perché non le parole, ma i fatti, le opere, gli scritti, questa Città parlano di lui; alla fine ho deciso di scrivere per dare una personale testimonianza, avendo avuto la fortuna di conoscere “Peppino” fin dal 1946, come socio dell’Azione Cattolica della parrocchia di Santa Lucia e come compagno di classe fino al secondo liceo. Per i nostri legami di amicizia molto profondi frequentavo assiduamente la sua casa, dove ho potuto conoscere e apprezzare i suoi genitori e il fratello Tanino.
Peppino, tra gli aderenti ai gruppi giovanili di Azione Cattolica e in classe, si distingueva per la sua intelligenza e preparazione culturale, di cui, a volte, approfittavo per “copiare” i compiti. Acuto osservatore della realtà e delle persone sapeva coglierne gli aspetti più singolari, che spesso traduceva in bozzetti e descrizioni esilaranti, che rivelavano il suo fine umorismo, che coinvolgeva e aggregava fraternamente i suoi compagni; tracce si possono trovare nel giornalino “Il Frolloccone” e in quelli di classe da lui curati, che furono la palestra in cui si esercitò per approdare poi al “Travaso” e ad altre riviste umoristiche di prestigio nazionale.
Dopo la mia entrata in Seminario la nostra frequentazione si fece episodica, anche a seguito del suo trasferimento a Pescara, dove ha portato a maturazione le sue naturali doti, raggiungendo alti livelli espressivi nel campo dell’umorismo, della critica d’arte, della poesia e narrazione e dell’insegnamento, diventando un punto autorevole di riferimento nel panorama culturale della Regione.
Dopo il suo ritorno a Lanciano i nostri rapporti si sono riannodati e approfonditi, grazie anche alla funzione legante della consorte Tonia, scomparsa prematuramente, lasciando un vuoto profondo e un dolore inconsolabile.
Ripercorrendo le varie tappe della sua formazione e analizzando la sua attività professionale e le sue opere letterarie, ho cercato di individuare una tensione particolare che sottende le sue realizzazioni: la sua particolare sensibilità per ritrovare il senso e la misura della bellezza in tutto ciò che esiste nella luce del fondamento di ogni bellezza, che è Dio, anche se non sempre esplicitato.
La bellezza è l’irruzione del tutto nel frammento; per questo motivo ciò che è bello attira, perché il bello presenta un’intima armonia delle parti, che è prodotta dall’affacciarsi dell’Unità totale nel frammento.
Peppino ha cercato la bellezza e ha saputo scorgerla e, a volte, fissarla nel frammento di un verso per comunicare agli altrim le sue emozioni, per godere di essa e per amarla. È stato, consapevolmente e non, una specie di catechista che ha guidato, attraverso la bellezza, alla contemplazione e all’amore di Dio, perché la bellezza è capace di suscitare vita, estasi del pensiero e del cuore.
Peppino nella ricerca della bellezza senza tramonto, ovunque essa è rivelata o nascosta, ha percorso un tormentato cammino di ascesi, purificando la mente e il cuore perché ognuno possa contemplare la bellezza increata. La bellezza, infatti, è non solo piacere e amore, ma è anche rischio, esilio; fragile è il bello e vive della sua morte. Il Tutto che si offre nel frammento ne rivela l’insondabile finitezza; il bello denuncia la sua fragilità. Il bello ricorda agli abitatori del tempo la caducità della loro dimora che appare fasciata dal silenzio del nulla. (cfr; B. Forte, La bellezza che salva, Chieti). Peppino si è nutrito dell’angosciosa rivelazione della bellezza, sospesa sugli abissali silenzi della morte e il suo cuore, soprattutto dopo la scomparsa di Tonia, sovrastato dal bello, si è fatto inquieto riguardo al suo destino.
Egli non ha accettato di trasformare il bello in spettacolo, ridotto a bene di consumo, che ne esorcizza la sfida dolorosa, spingendo così gli uomini a non pensare più, a fuggire la fatica e la passione del vero per abbandonarsi all’immediato fruibile. La bellezza l’ha sottoposto ad una dura scuola perché gli si svelasse l’abisso della divinità.
Memore della sua esperienza religiosa nella comunità di Santa Lucia, Peppino, potrebbe far sua una preghiera di S.Tommaso d’Aquino; “Gesù, ora velato al mio sguardo, avvenga, Ti prego, ciò che sempre cerco, scorgendo Te a volto svelato, che io sia beato vedendo al tua gloria”; è la preghiera di un uomo educato a leggere la bellezza e in essa si è fatto raggiungere dal Mistero che vi si affaccia, senza cedere alle seduzioni delle cose, ma anche senza tradirne la mirabile e fragile consistenza e dignità. Sulla fragile soglia della bellezza Peppino ha scoperto, anche, per la sua dolorosa esperienza, lo sfiorarsi d’ombre, che unisce la morte alla vita, il tempo e l’eternità.
I tanti premi letterari e il Fretano d’Oro sottolineano gli ideali più genuini e significativi della sua personalità, complessa e sollecitante, non solo per la ricchezza e il rigore della sua produzione, ma anche per l’esemplare attività “magisteriale”, che si armonizza con una “didattica” seducente e con una cordialità e affabilità che lega alla sua persona quanti hanno l’opportunità di accostarla. Gli sono molto grato per quanto mi ha dato.
Dal dopoguerra ad oggi una serie di circostanze che considero fortunate mi hanno portato ad essere testimone, da un osservatorio privilegiato, e qualche volta partecipe, della vicenda culturale abruzzese.
Alla Rai, sui giornali, con i libri che sono andato pubblicando ho avuto continue occasioni di incontro con quanti hanno animato la vita artistica e intellettuale regionale, legandomi ad alcuni di loro con sentimenti di profonda amicizia.
Tra i protagonisti di questa vasta scena, affollata da tante memorabili figure, ha certamente un posto di prima fila Giuseppe Rosato, al quale questo volume, che raccoglie pagine esemplari del suo lungo percorso di narratore e di poeta, è dedicato per festeggiarlo nel suo settantesimo anno di vita, riproponendo ai tanti suoi estimatori, ma anche all’attenzione delle più fresche generazioni, queste duecento pagine, in cui al di là della consumata abilita stilistica, non è difficile cogliere la felicità della scrittura, il raro dono della vera poesia espressa sia in lingua che nel nostro dialetto.
Riferendomi all’esperienza artistica ed esistenziale di Giuseppe Rosato si potrebbe, parafrasando il celebre titolo del libro fondamentale di un un illustre letterato, parlare di poesia come vita.
Dalle prime prove di L’acqua felice ai più recenti versi di L’inganno della luce, il tempo di questo nostro Poeta, degno di stare nel cerchio più ristretto dei nostri maggiori contemporanei, è stato scandito, nel susseguirsi degli anni e delle stagioni, dal fiorire di innumerevoli poesie raccolte in agili volumi o in plaquette che la posta ha portato per decenni sul mio tavolo accompagnati sempre da una sobria dedica.
Versi in cui, dissoltisi irreparabilmente i sogni dell’infanzia, “unica vera vita dell’uomo”, è riflesso come in uno specchio impietoso il procedere degli anni, man mano che ci si avvicina all’epilogo, sempre più dolente e drammatico, per le risposte che non arrivano, che nessuno può sensatamente dare.
La poesia di Rosato non è consolatrice, il mistero del mondo per una intelligenza lucida e implacabile come la sua non concede speranze.
Eppure Rosato ci invita a guardare, come lui sa fare, con coraggio alla realtà della nostra condizione. Cercando almeno di essere in pace con la propria coscienza.
Roberto Pappacena.
Edoardo Tiboni.
CURRICULUM.
Giuseppe Rosato, nato a Lanciano il 14 maggio del 1932, è tornato a risiedervi dal ’93, dopo una lunga parentesi pescarese.
Ha insegnato lettere nelle Scuole secondarie, passando anche per una breve esperienza universitaria.
Ha curato movimenti editoriali: il primo, Quadrivio, a Lanciano a partire dal ’57; il secondo, Emblema, negli anni Sessanta a Pescara.
Ha diretto la rivista Dimensioni (con O. Giannangeli e G. Sgattoni), dal ’58 al ’74, e la rassegna di arti visive Questarte, dal ’77 all’86.
Ha collaborato, o ancora collabora, con le riviste Tempo Presente di Chiaromonte e Silone, Il Ponte, Letterature Moderne, Il Caffè di G.B. Vicari, La Fiera letteraria, Realtà del Mezzogiorno, Leggere, Oggi e Domani, Nuovo Mezzogiorno, le pagine culturali del Mattino di Napoli e della Gazzetta del Mezzogiorno di Bari, le regionali del Messaggero, del Tempo, del Resto del Carlino.
A partire dagli ultimi anni Quaranta e fino ai Sessanta aveva scritto e disegnato per Il Travaso, quindi per altre testate umoristiche e satiriche, tra le quali I quaderni del sale.
È stato collaboratore del Terzo Programma radiofonico, in particolare delle rubriche Cronache del Mezzogiorno, Teatro Stasera, L’Approdo; e per la Rai ha lavorato dal ’61 al ’95, sia nei servizi giornalistici che nei programmi, occupandosi in prevalenza di eventi letterari e di cronache d’arte visiva.
Per questo settore ha inoltre curato rassegne (tra le altre il Premio Michetti, il Premio Vasto, Arte sul Tavo), dedicando pagine di lettura critica a numerosi artisti (prevalentemente abruzzesi), e realizzando con loro cartelle di grafica e poesia.
È stato segretario generale del Premio Flaiano di Pescara, dall’anno della sua fondazione fino al 1991. Ha ottenuto premi letterari, soprattutto per la poesia, a cominciare dal “Carducci” del 1960.
BIBLIOGRAFIA.
Poesia in lingua:
L’acqua felice, Schwarz, Milano 1957
Ars oratoria ed altro, Lacaita, Manduria 1974
Autodidattica e altre moralità, Lacaita, Manduria 1980
Prova di commiato, con disegni di Gigino Falconi, ed. Trentadue, Milano 1982
Esercizio di lettura, Lacaita, Manduria 1984
Lettere della quinta lontananza, con disegni di Remo Brindisi, Questarte Libri, Pescara 1984 L’inverno alle porte, Edizioni del Leone, Venezia 1988
Lettera da Tomi, Schena, Fasano 1994
Nutrire il corpo, Manni, Lecce 1996
Quaderno d’amore 1953-55, De Luca, Ortona 1997
Oh, l’inverno, Book, Castel Maggiore 1999
L’esilio, la lepre, Campanotto, Udine 2000
Pensare stanca, Ediars, Pescara 2001
L’inganno della luce, Book, Castel Maggiore 2002
La vergogna del mondo, Manni, Lecce 2003
Di questa storia che declina, Manni, Lecce 2005
L’inguardabile vero, Tracce, Pescara 2005
La traccia di beltà, Noubs, Chieti 2008
La distanza, Book Editore, Ro Ferrarese 2010
Poesia in dialetto:
La cajola d’ore, CET, Lanciano 1955
Ecche lu fredde, con disegni di Remo Brindisi, Questarte Libri, Pescara 1986
Ugn’addò, Campioli, Monterotondo 1991
L’ùtema lune, con prefazione di Franco Loi, Mobydick, Faenza 2002
La ddòre de la neve, Interlinea, Novara 2006
Lu scure che s’attònne, Raffaelli, Rimini 2009
Prosa:
Le piccole patrie, Emblema, Pescara 1968
Un regno è un regno, romanzo, Edikon, Milano 1969 (nuova edizione, rivista, col titolo Il regno di Boccuccia, Manni, Lecce 1998)
Apologhi a Pietro, Bastogi, Foggia 1983
W la guerra, con disegni di Franz Borghese, Levante, Bari 1987
Concerto sul colle, Solfanelli, Chieti 1989 Un leggero benessere, Schena, Fasano 1996 La prova del gatto, Mobydick, Faenza 1998
Un secolo fa, foglietti del novecento, Schena, Fasano 2001
La casa del prete, racconti, Carabba, Lanciano 2005
Le storie di Ofelia, romanzo, Carabba, Lanciano 2007
Diamoci da dire, parole di varia leggerezza, Carabba, Lanciano 2007
La neve al cancelletto di partenza, scritture brevi, Manni, Lecce 2008
In punta di spillo, vita sociale e costume, Stilo, Bari 2008
Piccolo dizionario di Babele, ed. Stilo, Bari 2009
Epigrammi, appunti, parodie:
Poesia in forma di cosa?, Emblema, Pescara 1967
Un uomo sfinito, Itinerari, Lanciano 1972 Minime della notte, Vecchio Faggio, Chieti 1990 Guerra & Piace, Solfanelli, Chieti 1991
Papere, con disegni di Giuseppe Coco, Ediars, Pescara 1999
Siamo alla fine, con disegni di Franz Borghese, Ediars, Pescara 2000
Per le Scuole:
Poeti italiani dell’800 e 900, per le medie inferiori (in collaborazione con L. Morgione e F.P. Giancristofaro), Quadrivio, Lanciano 1959
Racconti d’Abruzzo, Didattica Costantini, Pesca- ra 1977
I giorni, le parole, racconti del tempo d’oggi, Didattica Costantini, Pescara 1982
Un marziano a Roma e altri racconti, di Ennio Flaiano, Bastogi, Foggia 1983
Arte:
Segni della memoria, Museo delle Arti Castello di Nocciano, 1995
Quei giovani amici pittori, Museo delle Arti Castello di Nocciano, 1999
Antologie e repertori:
Enrico Falqui, La giovane poesia, Colombo, Roma 1957
Giammario Sgattoni, Poesia abruzzese del ‘900, Quadrivio, Lanciano 1961
Gualtiero Amici, La poesia italiana del primo secolo dell’unità nazionale, Ponte Nuovo, Bologna 1961
Francesco Corda, Albadoro, ant. italiana per la scuola media, vol. II, La Prora, Milano
Riccardo Marchese e Mario Visani, Tempo nostro, Cremonese, Roma 1964
Mario Dell’Arco, Fiore della poesia dialettale, Il Nuovo Cracas, Roma 1967
Benedetto Brugioni, Aretusa, ant. italiana per la scuola media, Cappelli, Firenze 1968
P. Di Salvo-G. Zagarrio, Tavola rotonda, ant. di letture italiane e straniere, La nuova Italia, Firenze 1969
Domenico Cara, Le proporzioni poetiche, Laboratorio delle Arti, Milano 1971
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Anna Ventura, Il sole e le carte, Marcello Ferri Ed., L’Aquila 1981
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Lucilla Sergiacomo, Narratori d’Abruzzo, Mur- sia, Milano 1996
Dialect Poetry of Southern Italy, a cura di Luigi Reina, ed. Bonaffini, Brooklyn, USA 1997 Vittoriano Esposito, L’altro Novecento, vol. III, Bastogi, Foggia 1997
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Racconti del Premio Teramo 1997, Comune di Teramo 2001
Franco Loi e Davide Rondoni, Il pensiero dominante, poesia italiana 1970-2000, Garzanti, Milano 2001
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Gino Ruozzi, Favole apologhi e bestiari, Moralità poetiche e narrative nella letteratura italiana, BUR, Milano 2007
Daniele Maria Pegorari, Critico e testimone, storia militante della poesia italiana 1948-2008, Moretti e Vitali, Bergamo 2009
Notizie di Aligi, sei narratori abruzzesi, Carabba, Lanciano 2009
Varie:
Ennio Flaiano, lettere a Giuseppe Rosato, Carabba, Lanciano 2008
Con il patrocinio del Comune di Lanciano.
Si ringrazia per il fondamentale generoso sostegno dato alla manifestazione
del Frentano d’Oro:
Il Gruppo Edmondo Costruzioni
La Società Elle Ricambi