IL FRENTANO D’ORO
Edizione XVI alla Prof.ssa Giovanna Alberta Campitelli, 28 settembre 2013.
Dirigente Beni Culturali della Sovrintendenza del Comune di Roma,
Direttore della U.O. Ville e Parchi Storici.
RASSEGNA STAMPA pre-premiazione.
4 luglio 2013
Il Frentano d’Oro a Giovanna Campitelli – Abruzzo24ore:
https://www.abruzzo24ore.tv/news/Il-Frentano-d-Oro-2013-a-Giovanna-Campitelli/121794.htm
4 luglio 2013
Il “FRENTANO D’ORO “2013 ad una donna dopo 16 anni -abruzzoinvideo.tv
https://www.abruzzoinvideo.tv/eventi/quot-il-frentano-d-oro-quot-2013-ad-una-donna-dopo-16-anni__a20327.html
5 luglio 2013
Il Frentano d’Oro 2013 alla storica dell’Arte Giovanna Alberta Campitelli – Chietitoday
https://www.chietitoday.it/cronaca/frentano-d-oro-2013-a-giovanna-alberta-campitelli.html
5 luglio 2013
Il Frentano d’Oro alla Campitelli – Il Centro
https://www.ilcentro.it/chieti/il-frentano-d-oro-alla-campitelli-1.1207793
L’ALBO D’ORO del Frentano, i Garanti.
I Edizione 1998: Maestro MARIO CEROLI, Scultore, conosciuto in tutto il mondo e definito dalla critica internazionale il moderno Leonardo, che trasforma in arte i più umili elementi della natura. Alla cerimonia hanno partecipato in veste di relatori i critici d’arte Prof. Domenico Policella e lo studioso di Etnia Frentana Padre Gian Maria Polidoro Frate della Porziuncola Madonna degli Angeli di Assisi.
II Edizione 1999: Prof. MARCELLO DE CECCO, insigne Economista, Professore ordinario di Economia Monetaria, Storico ed Editorialista di prestigiose testate di giornalismo economico. Alla cerimonia hanno partecipato in veste di relatori il Prof. Luigi Spaventa, già Ministro del Tesoro ed il giornalista Paolo Gambescia.
III Edizione 2000: Prof. ALESSANDRO PACE, eminente Costituzionalista, Professore ordinario di Diritto Costituzionale. Alla cerimonia sono intervenuti come relatori il Prof. Leopoldo Elia emerito Presidente della Corte Costituzionale ed il Prof. Carlo Mezzanotte, Giudice Costituzionale.
IV Edizione 2001: Ing. GUERRINO DE LUCA, Amministratore Delegato e Direttore Generale della “Logitech International”, leader mondiale dell’alta Tecnologia. Alla cerimonia è intervenuto come relatore dagli Stati Uniti l’Ing. Enzo Torresi “Venture-Capitalist”, fondatore delle più prestigiose aziende americane di informatica.
V Edizione 2002: Maestro DONATO RENZETTI, Direttore d’Orchestra, nome tra i più insigni nel panorama concertistico nazionale ed internazionale. Alla cerimonia sono intervenuti quali relatori: il Prof. Walter Tortoreto Direttore dell’Istituto di Musica della Università degli Studi dell’Aquila ed il Prof. Piero Rattalino, Direttore artistico del Teatro Massimo di Catania.
VI Edizione 2003: Prof. DOMINIK SALVATORE, Economista, Professore Universitario alla Fordham University di New York, Consulente Economico delle Nazioni Unite, Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale. Alla cerimonia di consegna del premio sono intervenuti quali relatori il Prof. Carlo Pace, Presidente di Sviluppo Italia ed il Prof. Carlo Secchi, Magnifico Rettore della Università Bocconi di Milano.
VII Edizione 2004: Prof. TAZIO PINELLI, Professore Ordinario di Fisica Nucleare presso l’Università di Pavia, divenuto famoso nel mondo per avere condotto con la collaborazione dei Fisici Nucleari della stessa Università una lunga ricerca dedicata allo sviluppo di una originale terapia per la cancerosi diffusa negli organi umani mediante un innovativo trattamento con neutroni. Alla cerimonia sono intervenuti come relatori il Prof. Alberto Gigli Berzolari, già Presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, emerito Rettore della Università di Pavia ed il Dott. Stefano Graziani, chirurgo presso l’Ospedale “Renzetti” di Lanciano.
VIII Edizione 2005: Prof. DOMENICO de ALOYSIO, Professore Ordinario e Direttore della Clinica Ostetrica e Ginecologica presso la Università di Bologna. Relatori il Prof. Francesco Antonio Manzoli, Professore Ordinario di Anatomia Umana Normale della Università di Bologna e la Prof.ssa Maria Luisa Altieri Biagi, Professore Ordinario di Storia della Lingua Italiana, Accademica effettiva della Crusca e dell’Istituto delle Scienze dell’Università di Bologna.
IX Edizione 2006: NICOLA CERRONE, Maestro dell’Arte orafa, creatore di gioielli, la cui eleganza e raffinatezza di stile, fanno delle sue “Creazioni” delle vere e proprie opere d’arte. Alla cerimonia sono intervenuti come relatori l’Avv. Prof. Gerardo Brasile, noto storico e critico d’arte ed il Dott. Domenico Maria del Bello, Ispettore Archivistico Onorario per l’Abruzzo.
X Edizione 2007: Professor ENIO MARTINO, Professore Ordinario di Endocrinologia presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia della Università di Pisa e Direttore del Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo della Clinica Universitaria. Relatori i Proff.: Giulio Giordano e Gaetano Lombardi, Docenti universitari.
XI Edizione 2008: Dottor LUCIO TROJANO, umorista-grafico di fama internazionale, autore di numerosi pubblicazioni e vincitore di prestigiosi premi nazionali ed esteri. Relatori: la Principessa Delfina Metz, scrittrice ed il Dott. Ennio Bellucci, Giornalista RAI.
XII Edizione 2009: CICCI SANTUCCI, Musicista. Autore di una notevole produzione discografica. Noto nel mondo soprattutto agli appassionati di jazz sia come compositore sia come interprete. Relazione musicale con esecuzioni brani jazz.
XIII Edizione 2010: GIUSEPPE ROSATO, Poeta, Narratore e Saggista. Ha ottenuto premi letterari soprattutto per la Poesia, dal “Carducci” del 1960 al “Pascoli” del 2010. Relatore la Prof.ssa Giulia Alberico.
XIV Edizione 2011: VINCENZO RUSSI, studioso e Manager nel campo delle Scienze e delle Tecnologie applicate. Direttore Generale di “Cefriel” Centro di Eccellenza Tecnologica presso il Politecnico di Milano. Relatori: Elisabetta Burba, Giornalista di Panorama e il Prof. Gianni Orecchioni, Dirigente scolastico.
XV Edizione 2012: VALENTINO PACE, Professore universitario. Eminente studioso di Storia dell’Arte Medievale e Bizantina di fama internazionale. Relatore Dott.ssa Giorgia Pollis.
Il pensiero di Ennio De Benedictis: Alberta Campitelli è una studiosa di Storia dei Giardini e del “Paesaggio Disegnato”, come recita il titolo inglese della rivista internazionale del quale il Comitato Editoriale fa parte.
Ciò che rende unica l’Italia, ciò che ne fa un immenso giardino, è appunto il suo
paesaggio “disegnato”, la natura umanizzata in secoli da una cultura del bello che
illumina il volto del nostro Paese.
Oggi la cura di una delle città più belle del mondo, Roma, la cui storia è narrata
dalla natura incastonata nell’arte, è stata affidata ad una figlia della Frentania.
Il premio viene conferito dunque quest’anno ad Alberta Campitelli, consapevoli
di quanto sia urgente e determinante per il futuro dell’Italia impedire che sia deturpata l’immagine disegnata da secoli di cultura del paesaggio.
Lanciano, lì 28 Settembre 2013.
PRESENTAZIONE del Giornalista Mario Giancristofaro.
Bisogna ammetterlo. Noi dell’Associazione “Il Frentano d’Oro”, abbiamo lasciato passare troppi anni, siamo alla 16° edizione, prima di assegnare per la prima volta il Premio ad una donna. E abbiamo sbagliato: riconoscerlo, forse, è già qualcosa. Ma con la scelta di Giovanna Alberta Campitelli penso che abbiamo centrato
l’obiettivo come meglio non avremmo potuto. Altri, con la giusta autorevolezza e le dovute competenze, in questa pubblicazione, illustrano la valenza e le capacità professionali della premiata. Da parte mia, solo il racconto delle sensazioni dell’incontro, per quanto sia possibile mettere su carta, nero su bianco, le sensazioni che si raccolgono in un incontro di pochi minuti, che ho avuto con la premiata di questa edizione.
Ho parlato con la Professoressa in un caldo pomeriggio di questa estate nella segreteria del Palazzo dell’ex Liceo classico, in Corso Trento e Trieste, assieme al nostro Presidente Ennio De Benedictis. Le sue prime parole, in un misto di commozione e orgoglio, mi sono rimaste scolpite nella mente:
“Qui, in questo edificio, anzi, in questo prestigioso Liceo, io ho studiato e mi sono formata. Qui ho maturato la mia personalità e ho messo le basi della mia cultura.
Quello che ho assimilato in questa scuola mi è stato di guida per tutto il mio percorso futuro”.
Parole che mi hanno fatto subito capire come davvero la Campitelli appresentasse
alla perfezione il tipo di personaggio che ogni anno cerchiamo per il Frentano d’Oro: legame profondo alla Terra di origine, a cui si è reso lustro nel campo della cultura e delle professioni. Lei ha ricevuto tanti premi e tanti riconoscimenti nella sua attività di “custode” dei Beni Monumentali di una città come Roma, ma si capisce subito come il nostro Premio, che le arriva dalla sua Terra e dalla sua gente, in un baleno abbia superato tutti gli altri encomi. Racconta, insegue i ricordi, la Campitelli. Ma se pure non raccontasse con quel suo linguaggio sciolto e accattivante, non mi sarebbe difficile capire i sentimenti che prova.
La guardo negli occhi, ascolto il tono di voce e capisco bene cosa stia pensando. Sì, l’Università di Firenze, dove si è laureata in Lettere, la Sapienza di Roma, dove si è specializzata in Storia dell’Arte medioevale e moderna, il titolo di Archivista
Paleografo, i Licei della Capitale, dove ha insegnato, gli incarichi di prestigio internazionale. Tutte tappe importanti.
Ma vuoi mettere il Liceo di Lanciano, dove insegnava il professor Benito
Lanci, tutt’altra storia! Già, Benito Lanci:
“… al suo insegnamento, alla sua vastissima cultura e alla sua capacità straordinaria di trasmetterla – dice Giovanna Alberta Campitelli – “devo tutto. Non era solo un bravissimo professore, impegnato a scuola a seguire i programmi ministeriali. Era un Maestro di vita, nel senso più alto della parola, in ogni momento. Ricordo ancora con tanta nostalgia, quei pomeriggi in cui andavamo a trovarlo nella sua abitazione in via Monte Grappa. E lui ci faceva ascoltare e ci spiegava la musica classica, ci leggeva passi in Sanscrito, parlavamo di teatro e di
cinema. Era avanti anni luce. E poi, la sua amica di sempre Maria Teresa D’Arcangelo: stesso Liceo, stessa Università, stesso giorno di laurea. Ricordi indelebili”.
Adesso la Campitelli partecipa assiduamente a Convegni nazionali ed internazionali aTokyo, Parigi, Oslo, Instanbul, Varsavia, tiene lezioni e seminari nelle Università di Roma, Napoli, Milano, Firenze, Parigi, Berlino, Whashington.
Sì, grandi palcoscenici internazionali, senza dubbio. Ma quel Liceo di Lanciano, un Professore come Benito Lanci, un’amica come Maria Teresa, l’azzurro del mare di Fossacesia, le piccole-grandi storie della comunità ristretta, dove li metti, se non al centro del cuore, e per sempre?
Una persona così è un onore averla tra i premiati della nostra associazione. Nell’albo del Frentano d’oro, il nome di Alberta Giovanna Campitelli, si aggiunge ad un autentico parterre di Campioni!
Relatori i Proff. Valentino Pace e Remo Rapino.
CURRICULUM VITAE e INFORMAZIONI PERSONALI della Premiata, Garante d’Oro, Giovanna Alberta Campitelli.
Data di nascita 15/03/1951, Fossacesia. Qualifica Dirigente beni culturali e ambientali. Amministrazione ROMA CAPITALE. Incarico attuale Direttore Ville e Parchi Storici, Sovrintendenza Capitolina.
TITOLI DI STUDIO
Laurea in lettere, Università di Firenze. Altri titoli di studio. Specializzazione in Storia dell’arte, Università “La Sapienza”. Diploma di Archivista e Paleografo, Università “La Sapienza”.
ESPERIENZE PROFESSIONALI
Incarichi annuali come docente di Storia dei Giardini, Università “La Sapienza” di Roma, Facoltà di Architettura.
INCARICHI ISTITUZIONALI
1981-1984 assunzione nei ruoli del Comune di Roma, Funzionaria Storica dell’Arte presso la U.O. Monumenti Medioevali e Moderni della Sovrintendenza. In qualità di responsabile dei rioni Ripa, Sant’Angelo, Campitelli e Pigna, ha ideato il progetto del Museo storico dell’Isola Tiberina, sostenuto da un comitato scientifico internazionale, ha redatto uno studio sul quartiere industriale Ostiense individuandone le valenze da preservare. Come responsabile del X Municipio ha predisposto una guida alle emergenze archeologiche, storiche e architettoniche del territorio e realizzato numerose attività di conoscenza con le scuole, le realtà sociali e produttive (Fatme e Cinecittà). Ha fatto parte del Comitato Scientifico per le celebrazioni per i 500 anni dalla nascita di Raffaello (1483-1983), curando mostre e cataloghi. 1984-1993 responsabile presso la U.O. Ville e Parchi Storici di vasti settori territoriali comprendenti Villa Borghese, Villa Torlonia, Pincio, Villa Mazzanti, Villa Ada Savoia, Villa Leopardi, Villa Mercede, ecc.. In tale ruolo ha organizzato il I convegno internazionale sui temi della conoscenza, conservazione e gestione delle ville storiche, in collaborazione con il Ministero per i beni Culturali, tenutosi nel 1985. Ha effettuato una completa ricognizione delle proprietà comunali nel settore, ha avviato e diretto interventi di restauro in Villa Torlonia, Villa Borghese e in numerose ville minori, promosso studi e ricerche per
la valorizzazione del patrimonio comunale.
1993-2006 incaricata dal Sovrintendente come responsabile della U.O. in assenza di dirigente preposto e in attesa del concorso. In tale ruolo, alle dirette dipendenze del Sovrintenden e, ha coordinato un gruppo di 50 storici dell’Arte, Archeologi e Architetti ai quali erano affidati i diversi settori territoriali. Ha organizzato convegni internazionali, nel 1994 “Ville e Giardini tra Ottocento e Novecento” e nel 2003 “Villa Borghese: storia e gestione”, dei quali sono stati pubblicati gli atti. Ha rappresentato la Sovrintendenza capitolina presso istituzioni italiane e straniere (Ministeri, Università, Accademie, Istituti di Ricerca). Nel 2003 è stata incaricata dal Sindaco Walter Veltroni del coordinamento degli eventi in occasione del centenario dell’apertura al pubblico di Villa Borghese (1903-2003), con numerose manifestazioni tra cui una mostra di alto livello scientifico, in collaborazione con il Museo del Louvre, su “Villa Borghese: i principi, le arti, la città dal Settecento all’Ottocento”.
Ha curato e diretto numerosi interventi di restauro di arredi, edifici e giardini nelle ville di Roma, tra i quali il complesso di Villa Torlonia e degli edifici e giardini di Villa Borghese. Ha ideato e realizzato i seguenti musei, che attualmente dirige: -Museo della Casina delle Civette in Villa Torlonia, 1997 -Museo del Casino dei Principi in Villa Torlonia, 2002 -Museo del Casino Nobile in Villa Torlonia, 2006
-Museo Carlo Bilotti in Villa Borghese, 20062006-2013 a seguito di concorso pubblico, vinto con il massimo dei voti, è stata nominata Dirigente Beni Culturali, ed ha continuato a dirigere la U.O. Ville e Parchi storici, in continuità con gli incarichi precedenti. Ha contribuito a promuovere interventi di restauro, di divulgazione e conoscenza del patrimonio, mediante pubblicazioni e partecipazione a convegni nazionali ed internazionali. Ha ideato e realizzato, ed attualmente dirige, il -Museo della Scuola Romana in Villa Torlonia, 2007 – con Ordinanza del Sindaco 129 del 13 giugno 2013 è stata nominata Direttore ad interim dell’Ufficio di Scopo MACRO.
INCARICHI e TITOLI SCIENTIFICI
Dal 2001 è Fellow del Centro Studi sui giardini-Dumbarton Oaks della Harvard University a Washington.
Ha tenuto lezioni e seminari presso numerose Università italiane e straniere (Roma, Napoli, Firenze, Milano, Pisa, Arezzo, Ferrara, Venezia, Padova, Parigi, Liegi, Berlino, Varsavia, Ecole Superieur du Paysage de Versailles).
e il Sindaco di Roma Francesco Rutelli, in visita a Villa Torlonia nel dicembre 2000
Ha presentato l’attività del Comune di Roma negli Istituti Italiani di Cultura di Parigi, Berlino, Washington, Vancouver, San Francisco, Los Angeles, Varsavia,
New York.
Dal 2006 è Rappresentante per l’Italia presso l’ICOMOS-IFLA, Organizzazione dell’UNESCO che si occupa di paesaggi culturali e seleziona i siti Patrimonio dell’Umanità nel campo dei giardini e del paesaggio.
Ella fa parte dal 2007 del Direttivo di ICOM Italia, organizzazione dell’UNESCO che si occupa di Musei.
Fa parte dal 2008 dell’Advisory Board dell’American Academy at Rome.
Fa parte del Comitato Scientifico per il restauro dei giardini di Villa Medici, Palazzo Barberini e Palazzo di Wilanow (Varsavia).
È consulente del Quirinale per gli interventi di restauro nei giardini del Palazzo.
Fa parte dal 2001 dell’Editorial Advisory Board della Rivista internazionale “Studies in the History of Gardens and Designed Landscape”.
È nel Comitato Scientifico di APGI (Associazione Parchi e Giardini Italiani) del MIbac.
È consulente dell’Università LUISS per il restauro di Villa Blanc.
È membro del Comitato Scientifico della giuria del “Parco più bello d’Italia”, che assegna ogni anno un riconoscimento al sito di maggior interesse storico e naturalistico.
È membro affiliato di AIAPP (Associazione Italiana Architetti del Paesaggio).
TESTIMONIANZE dei COMPAGNI di SCUOLA: Antonio Allegrini, Maresa D’Arcangelo, Remo Rapino, Nerina Scopinaro.
Antonio Allegrini.
I giorni passati non si possono sempre elencare, né tantomeno ricordare perché nel vivere sbiadiscono e si oscurano, amano riposare nell’ombra. A volte sono come una musica flebile barcollante nel petto. Spesso somigliano a cavalli in corsa verso la gelida luce lunare, luce di notti passate a frantumare pensieri e frugare in tutti gli angoli della nostra vita perché tutti abbiamo un nome, un volto, un paesaggio alla fine dell’anima… Un tempo lontano viaggiammo insieme lungo le strade del mondo. Mi sconcertava la tua intelligenza. La tua sete di sapere era come un fuggire da un fuoco morente.
Eri bella con occhi che racchiudevano un azzurro inviolato, il corpo armonico saturo di profumi, tappeto verde dove avrei voluto sdraiarmi e riposare…
Ormai sei lontana, molto lontana, in una dimensione di radici e alberi che ti riparano con la loro selvatica magia, distante da colui che ti pensa e ti ricorda come fiore di giovinezza, in questa casa sigillata, casa spoglia per sempre dove non sei mai venuta, non hai mai varcato la soglia perché sono cadute fulgide stagioni, ore preziose, festeggiamenti danzanti, e forse il nostro cuore congela come pietra inerte in campi lontani simili ad incerti sogni, campi abbandonati da tutti e che nessuno più ricorda.
Maresa D’Arcangelo, docente e critica cinematografica.
Appunti per un ritratto di Alberta da cucciola.
Sono arrivata alla scuola elementare di Frisa che già leggevo e scrivevo e per di più la Maestra era la mia mamma. Una noia infame. Naturalmente non mi prestava alcuna attenzione e neanche mi rispondeva se facevo una domanda “Non adesso! Te lo dico a casa!”
Figuriamoci se poi se ne ricordava. Per fortuna, quasi subito prese a mettermi in coppia con quelli che rimanevano indietro, a rispiegare le lezioni. E questo, occorre riconoscerlo, non era male. Potevo parlare con tutti e imparavo da loro un sacco di cose importanti per la vita. Avevo molti amici fidati: Liliana, Lidiana, Guido ecc.. Anche dei nemici dichiarati. Per un periodo diventai capo di una fazione, l’altra era capitanata da Giovina che guidava il trattore ed era veramente in gamba! Facevamo anche a botte di nascosto, in cortile, ma con reciproco rispetto e stima. Bullismo con le trecce? Non saprei. Comunque leggevo moltissimo ma a scuola, di quello che non sapevo già, non imparai niente o almeno molto poco. Ne uscii con una grafia illeggibile e un buco irreparabile in matematica. Pensare che neanche ho potuto riscattare, per la pensione, quegli anni come insegnante di sostegno.
Le scuole medie furono una rivelazione. Potevo parlare e i professori mi rispondevano: straordinario! Ma la vera meraviglia fu il regalo del primo giorno di prima media. Una ragazzina, che arriva per ultima, e mi chiede se può sedersi
accanto a me. Non conosco nessuno mentre le altre ragazze, che vengono dalle scuole del centro, si conoscono tutte e sono già in coppie strategiche o amicali. Quindi accetto subito. La mia compagna di banco inviata dalla Fortuna, che per una volta si deve essere tolta la benda in mio favore, arriva da Fossacesia.
Ha sereni occhi celesti e capelli ribelli color noce dorata. Dice cose interessanti, impara tutto rapidamente e senza sforzo. Inoltre scopre sempre il lato buffo dei momenti difficili. Si chiama Giovanna Alberta Campitelli per gli amici Berta e non racconta a nessuno di essere uscita dalle elementari con una pagella tutti dieci e articolo sul giornale locale. Scopro invece subito che legge quanto me ed è arrivata anche lei ai grandi Autori francesi e russi. Inoltre abbiamo la stessa velocità di lettura, cioè possiamo leggere da uno stesso libro e voltar pagina in sincrono. Deliziosa attività, che svolgiamo sul terrazzo di casa mia oppure sedute sugli accoglienti rami dell’albero di fico che sfiora la finestra della sua stanza (da cui si può uscire evitando la porta principale e anche la sorveglianza dei genitori) o in riva al mare.
In pratica ovunque, anche in classe, durante le ore di economia domestica e religione.
Con Alberta la scuola diventa interessantissima e elicemente ci dedichiamo alla letteratura e alla storia antica. Uno dei giochi favoriti è scrivere “alla maniera di” svolgendo temi e inventando racconti che imitano, sfacciatamente e ingenuamente, gli Autori delle nostre letture.
Berta scrive caterve di poesie e vince concorsi e premi. Parliamo così tanto che l’amata professoressa di Lettere, Carmen Stellacci, ci suggerisce di fare sessioni di discussione pomeridiana se abbiamo così tante cose da dirci. Non sa che quando non ci vediamo ci scriviamo. Da qualche parte ho ancora un pacco di corrispondenza scritta da Berta su un’orrenda carta da lettere rosa, regalo dei parenti americani. I coetanei cugini americani, in realtà canadesi, sono anche il canale da cui arrivano i primi 45 giri di musica rock inglese e americana.
Il mondo manda segnali di novità che attraversano le frontiere, ma i canali non sono ancora quelli della comunicazione ufficiale. La radio e la televisione non passano niente, poi finalmente arriva TV 7 con i servizi dei giovanissimi Furio Colombo e Andrea Barbato. Imperdibili, anche se occorre battersi per conquistare la scelta del programma serale sul teleschermo di famiglia.
Fanno anche riflettere le trasmissioni in italiano di Radio Tirana che si sentono benissimo sulla nostra costa. Viaggiano su frequenze vicine a quelle di Radio Montecarlo che trasmette Beatles e Rolling Stones. Annunciano sempre obiettivi di programmi raggiunti al 150%. Non può essere vero e rivelano il lato falso e bugiardo di quel comunismo “reale”.
Però i nonni emiliani di Alberta, che leggono l’Unità, sono il ritratto dell’onestà e dell’altruismo. Così, in vari modi, piuttosto autodidatti, cominciamo a guardarci intorno.
Al Ginnasio il professor Antonio Lanci è il mentore con cui passiamo la maggior parte del tempo. A lui dobbiamo gli elementi fondamentali della nostra formazione culturale e il senso chiaro della responsabilità delle scelte individuali
rispetto alla società in cui si vive.
Con Berta adoriamo l’Archeologia ma facciamo di tutto per parlare del presente con il giovane e preparatissimo Professore.
Sono in edicola i primi libri tascabili, prevalentemente Autori contemporanei e
stranieri. Naturalmente del tutto estranei al programma dell’anno. Così ogni settimana, casualmente, Alberta poggia sul banco l’ultima uscita e adesca il Professore che immancabilmente, mentre passeggia spiegando un argomento di
programma o interrogando, prende in mano il libro e lo recensisce per la nostra felicità. Appena possibile agganciamo al lavoro scolastico i temi dell’attualità che il Prof. rilancia subito con piacere ed evidente complicità.
Anche questo non avrebbe dovuto farlo ma, come cantava allora Bob Dylan, “the times they are a changing’“e Tonino non trovava allarmante che “l’acqua cominciasse un po’ a salire” anche tra i banchi.
Alberta Campitelli, Liliana Di Ciano, e in piedi Federico Marciani.
Con il Ginnasio arrivano anche il cinema e il Professor Benito Lanci. È il tempo magico dei cineclub. Quello organizzato dai fratelli Lanci con i ragazzi più grandi del Liceo di Lanciano si chiama “Jean Vigo”, ma naturalmente i film meravigliosi di quest’Autore allora non li abbiamo visti perché nessuno li distribuiva in Italia.
La cattolicissima San Paolo Film distribuiva Eisenstein, rivoluzionario, ma di certa
moralità e poco incline ai temi del desiderio e dell’erotismo. Si teneva, invece, lontana dal poetico, sovversivo e assai desiderante autore dell’Atalante.
La domenica mattina, alle proiezioni del cinema “Imperiale” partecipano in massa i ragazzi di tutte le scuole superiori lancianesi. I film sono quelli dell’impegno e della Nouvelle Vague, ma anche Buñuel e i “giovani arrabbiati” inglesi. L’opzione formativa? Semplice: buttatevi e imparate a nuotare. L’analisi del film si faceva a memoria, non avendo possibilità di moviola. Così Benito e Tonino Lanci ci “raccontavano” i movimenti di macchina più originali e i piani sequenza. Poi invitavano i ragazzi a dire la loro. Vidi, per la prima volta, la sciarpetta rossa dei critici impegnati al collo di Alberto La Barba, uno dei grandi (seconda o terza Liceo). Quest’anno, in una riunione di cineasti, Moretti (proprio lui! Il dibattito no!) ne indossava di nuovo una simile. Forse un caso, forse nostalgia di un rapporto
speciale con il cinema difficile da ricreare. Certo occorreva imparare a parlare in pubblico ma farlo aiutava a crescere, come partecipare alle prime, non autorizzate, assemblee.
Anche i suggerimenti bibliografici del “Jean Vigo” erano temerari. Conservo gelosamente un libro che Benito mi regalò alla fine di un ciclo di proiezioni del Ginnasio. Era un Béla Balázs scritto nel 1929 che autonomamente, a quell’età, mai
avrei incontrato.
Con Alberta amavamo Jules e Jim di François Truffaut, Pasolini e Godard sarebbero venuti dopo. Abbiamo visto, in una serata memorabile,
“Chi di noi, chi di voi”
scritto da Benito Lanci e messo in scena dagli studenti del Liceo. Nerina Scopinaro attraversava il palcoscenico con passo leggero. Avrebbe occupato un posto speciale nei nostri affetti. Non ci avvicinammo, però, al gruppo teatrale. Il teatro politico di strada, la commistione tra forme diverse di espressione artistica ci tentavano di più. Arrivavano notizie e immagini del Living Theatre, dell’Odin Theater di Eugenio Barba e del Bread and Puppet. Però abbiamo fatto in modo di essere nella classe di Benito al Liceo. Come?
Beh, un pomeriggio abbiamo bussato alla sua porta e ci siamo proposte come allieve ideali. Divertito e con una buona dose di santa pazienza ci ha esaudito. Con lui non c’erano più limiti. Si spaziava dal greco antico al marxismo, alla psicoanalisi ai formalisti russi. Per chi voleva si poteva continuare il pomeriggio nel suo studio. La porta era sempre aperta e non occorreva neanche chiedere appuntamento.
Al primo piano dello stesso stabile la sede del Jean Vigo, tappezzata con i manifesti della Rivista “Quindici”. Imparare ad organizzare un gruppo di lavoro, il primo passo per abituarsi a condividere e migliorare i risultati della ricerca e l’apprendimento individuale. Alberta era convinta che si dovesse sempre parlare con tutti. Possedeva un’inesauribile riserva di generoso ottimismo e tenacia. Comunicava passione ed era disponibile ad ascoltare. Queste doti ne facevano una leader naturale e un riferimento per molti. Era una persona, allora, assai giovane ma già capace di usare il “tu tutti” come teorizzava un maestro d’irregolarità da noi molto amato, Aldo Capitini. Pensatore/attivista della nonviolenza in Italia, era stato uno dei pochi Professori che non avevano giurato fedeltà al fascismo. Aveva ispirato le azioni di Danilo Dolci in Sicilia, e ideato la marcia della Pace Assisi-Perugia. Era maestro e amico di Don Milani. Leggevamo
i suoi articoli, i testi di alcuni discorsi e volevamo conoscerlo. Arrivammo alla sua casa di Via dei Filosofi (un nome programmatico in verità) a Perugia l’anno in cui aveva ospitato Allen Ginsberg e Peter Orlovski dopo lo scandalo del reading di poesia interrotto dalla polizia al Festival di Spoleto.
Aldo Capitini ci piaceva molto più di Don Milani (che apprezzamo più per “L’obbebienza non è più una virtù” che per “Lettera ad una professoressa“) perché rappresentava l’ala non confessionale dei pacifisti italiani e riteneva l’arte e la cultura non solo diritti ma strumenti di libertà e felicità per tutti.
Posizioni condivise dal grande Pedagogista Lamberto Borghi e da un critico cinematografico molto interessato alla sociologia del cinema (lui non avrebbe probabilmente accettato questa definizione) e allo studio delle comunicazioni di massa, Pio Baldelli. Allora dirigeva il giornale del movimento Azione non violenta e ci avrebbe fatto gentilmente da direttore responsabile del giornalino del gruppo pacifista del Liceo “L’occhio”.
Continua il gioco della scrittura “alla maniera di”, ma impariamo a dichiararlo come “citazione implicita” anche perché altri giocatori si sono aggiunti e ormai lo facciamo per noi e non per i compiti in classe. Il migliore, senza dubbio, è Roberto Centazzo che scrive racconti alla Jack Kerouac e ci prova anche con gli aiku.
In classe, con Benito Lanci e tra gli allievi, da sinistra, Maresa D’Arcangelo, Anna Lucia Di Mele, Alberta Campitelli, Liliana Di Ciano, e in piedi Federico Marciani. Sarà il solo, alla fine, a scrivere cercando una propria strada senza più alcuna intenzione di gioco. Il gruppo che organizza le assemblee coordina le manifestazioni cittadine, redige il giornale, a questo punto è nutrito e si riunisce preso la biblioteca dell’Ises, una filiazione della Cassa del Mezzogiorno, per una volta utilissima, dove si possono addirittura ordinare libri e riviste.
Baldino Di Mauro passa raramente all’Ises perché non condivide l’aperta critica del gruppo alle scelte del Partito Comunista, ma è un amico carissimo e un leader degli studenti che partecipa a tutte le iniziative. Addirittura prende la parola, a nome del movimento studentesco, in una manifestazione sindacale suscitando le ire degli organizzatori che si ritengono colpiti da “fuoco amico” e gli predicono un futuro alla Gramsci (cioè un’iscrizione all’università della galera) se continua a frequentarci. Che esagerazione!
Per la musica nasce la Cooperativa. In più di dieci persone acquistiamo un 33 giri al mese che diventa proprietà comune e passa da una casa all’altra. Così, in breve tempo possiamo prestare anche ai non soci. A fine anno, quel che non è andato perduto torna ai fondatori (e acquirenti).
Recentemente ho visto qualche disco con il simbolo della Cooperativa in mano a nipoti dei vecchi proprietari in vena di riscoperta del vinile. La Coop valeva solo per il rock e il folk, per la classica ognuno faceva da sé come per lo studio della Storia dell’Arte Contemporanea, neanche sfiorata dai programmi scolastici del Liceo. Scopriamo che anche quelli del Liceo Artistico ne sanno poco nel contatto con Lucio Bucci e Peppe Mari che hanno frequentato quella scuola a Pescara ma, naturalmente possiedono capacità creative ed espressive diverse dalle nostre e che ci affascinano. La scoperta dei giovani artisti attivi sul territorio è importantissima e la vicinanza con molti di loro caratterizza gli ultimi anni del Liceo fino all’esame finale per il quale con Alberta decidemmo di organizzare un gruppo di lavoro che elaborasse una tesina storico-artistica e un happening.
Ci stabilimmo per qualche tempo a casa mia. Alberta stava da me in pianta stabile e il gruppo si riuniva nel pomeriggio sotto lo sguardo spazientito di mia madre che a malapena tollerava l’invasione. Il tema ambizioso era l’influsso delle avanguardie storiche sull’Arte Contemporanea e il rapporto tra Arte e Politica. In realtà saccheggiavamo a piene mani i saggi della scuola di Francoforte, di Mc Luhan ecc e i molti giornali underground come Carte Segrete e Pianeta Fresco che trattavano questi temi. Per fortuna citavamo sempre le fonti con accuratezza. Credo che davvero altri meriti scientifici oltre a questo non ce ne fossero. Però l’esposizione, inusitatamente collettiva, piacque e il gruppo di lavoro (Alberta Campitelli, Maria Teresa D’Arcangelo, Sandra Mazzoccone, Liliana Ciancetta e Anna Ciarelli) concluse assai bene il suo esame, allora di Stato.
Per l’happening tra candele, musica e buio in aula commissionammo agli amici artisti anche un omaggio del vecchio “alla maniera di” sotto la specie di un ritratto di Lucrezia Pancitichi del Bronzino fornita di baffi come la Monna Lisa rielaborata da Marcel Duchamp.
Remo Rapino: “Dell’inizio e della vita altra.”
Quando mi è stato chiesto di “testimoniare” qualcosa su (Al)Berta Campitelli, istintivamente ho pensato agli anni trascorsi e troppi mi sono sembrati per poter dire anche poco. Quarant’anni sono una vita, non è un modo di dire, poi a seguito di quella richiesta la mente, come un vecchio dagherrotipo, ha cominciato a stampare lastre e fotogrammi, immobili ma non statici, chiari comunque, una sorta di album che ricordava il montaggio, a distanza di anni, di quadri perduti (non visibili nel film realizzato) e poi casualmente ritrovati, come accade in molti lavori del maestro russo Sergej Michajlovič Ėjzenštejn (l’amica Maresa D’Arcangelo capirà e, spero, perdonerà questo concetto-comparazione alquanto avventato e distorto). Allora mi sono chiesto se non fosse possibile costruire un ponte, quantunque leggero o leggermente visibile, tra i nostri anni giovanili e gli accadimenti successivi, da quel tempo per fortuna e per caso ancora vivo e il
“poi la vita altra”, dimensione che la vita sempre irrimediabilmente comporta. Insomma radici da scovare o ri-scovare alla ricerca di un nesso possibile per cui quello che si è diventati da “grandi” in qualche modo era già graffito in quanto si era da “piccoli”. Degli anni del liceo: parlarne è come guardare l’andare di un iume con un delta infinito di memorie, di storie, di sogni, di voli e di cadute, viaggi e naufragi di una generazione che si contorceva intorno alle eretiche parole di Pasolini, intorno ai mille mondi che arrivavano con voci e canti anche nelle nostre contrade di provincia. Era viva Lanciano in quegli anni, molto più di adesso, e vi soffiavano i venti del Maggio. Erano anni di sogni e noi tutti eravamo un po’ Dreamers (per Maresa: idem come sopra) e non era possibile chiudere gli occhi e tantomeno il cuore e la mente: il teatro con compagnie anche importanti e a cui si poteva accedere con le tessere gratuite del Centro Servizi Culturali, la presenza fondamentale per noi giovani di Benito Lanci, il suo “Chi di voi chi di noi”, il cinema del Jean Vigò con infiniti dibattiti a corollario (ricordo Treni strettamente sorvegliati, La donna di sabbia, e poi Godard, Truffaut…), le nostre acerbe impressioni sui giornalini scolastici. La scuola dove ci martoriavano le carni con Ei fu siccome immobile e T’amo pio bove (in effetti da adulti abbiamo compreso che la bellezza ha molte forme) mentre fuori davanti alla libreria Barbati i nostri sguardi scorrevano sui girevoli a scoprire ben altro, Rimbaud, Baudelaire, Spoon River, qualcuno più fortunato il primo Marquez e la sua Macondo; così alla radio: si imponeva l’ascolto (ma chi ascoltava?) i lamenti di Bobby Solo e Gigliola Cinquetti e il Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte di Morandi, mentre per le vie del mondo, anche il nostro, sarabandava alta la musica dei Pink Floyd, i Cream, i Doors di Morrison, naturalmente Bob Dylan, e Joan Baez, De André, i Beatles e i Rolling Stones e Woodstock alla fine. Si leggeva Prevért per trovare qualche frase da corteggiamento (ma, spesso, hai voglia ad accendere tre fiammiferi!) o anche gli scrittori americani per sembrare più grandi, insomma si
scoprivano altre realtà e noi ne facevamo parte in qualche modo, proprio con i nostri voli verso quel sogno di mutamento che sembrava davvero ad un passo. Eravamo un po’ Robinson, un po’ Icaro e un po’ Prometeo con i nostri disperati
esercizi di ribellione. Questo mondo entrava anche nelle aule scolastiche creando una dialettica ricca di conflitti, di scontri generazionali, di analisi politiche, di conoscenze, di metodi di approccio alle tematiche della più stringente attualità.
Di qui le prime assemblee, gli scioperi per i pendolari e le manifestazioni per il Vietnam, l’icona del “Che” sulle magliette, l’immaginazione al potere e il chiedere l’impossibile, tanto per essere realisti. Certo a vent’anni o giù di lì, come canta
Guccini in Eskimo, si è stupidi davvero, ma è pur vero, come dice un proverbio argentino, Nadie te puede quitar lo bailado, Nessuno può cancellare ciò che abbiamo danzato. Berta era molto brava a scuola e così fuori dalle aule, ricca di sapere, era parte importante e attiva di questo mondo, che oggi si può guardare con ironia ma senza irriderlo, con nostalgia senza dimenticarne le ingenuità, ripensarlo soprattutto senza rimpianti e pentimenti. Quello che siamo ha di certo radici in quanto siamo stati in quei giorni, con le nostre discussioni su un “Qualcosa” dall’Utopia alla scienza, che forse toglievano molto allo studio scolastico, ma davano moltissimo alle nostre vite, al nostro Bildungsroman di figli di quel tempo vissuto e convissuto. A testimonianza di ciò è la sensazione avvertita quando ci s’incontra pur a distanza di decenni: è come se ci si fosse
visti solo qualche giorno prima, si riprende un filo forse mai interrotto di parole, di scambi di opinioni, di belle risate, di velate tristezze. Anche se non sono presenti si ha, comunque, l’impressione di non essere i soli e tornano i volti e le voci di altri amici, con una certa audacia “metastorica” si potrebbe dirli compagni?, come Baldino e Luciana Di Mauro, Maresa D’Arcangelo, Silvino D’Ercole, Roberto Centazzo, altri e tanti ancora e tutt’intorno l’aria colorata, bizzarra, allegra e
libera di un mondo che stava cambiando e non poco in quel lontano 1968 e oltre. Certo, poi èstata la vita altra. Berta ha raggiunto importanti risultati con la sua professionalità, i suoi libri, le sue passioni, eppure credo sinceramente che un
ponte leggero regga il passaggio tra quegli anni acerbi e il dopo, che questo filo persista per tutta una generazione. Questo solo posso dire oggi su Berta e sugli anni che ci aprivano strade nuove e diverse. In fondo non è niente, è la vita soltanto.
Paul Nizan in Aden Arabia (1931) scrive «Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita». Mi piace pensare che per noi, per Berta, per i ragazzi di allora, per gli uomini e le donne di oggi, non sia la stessa cosa, che i nostri passi nel mondo di ieri siano, in qualche modo, parte dello stesso cammino dei giorni che viviamo, certo cambiati, ma non più di tanto. Sarebbe interessante farne oggetto di un dibattito (anche qui per Maresa: senza dirlo, naturalmente a Nanni Moretti!). Buona vita a tutti.
Nerina Scopinaro: “On the road…”
Ho conosciuto Alberta Campitelli quando si chiamava Berta ed io la chiamo ancora così. Era il ’68, io avevo scoperto la politica e, tornata a Lanciano, avevo trovato un fermento inaspettato: le operaie dell’Azienda Tabacchi, dopo una manifestazione contro i licenziamenti, avevano occupato la fabbrica. Berta, insieme all’inseparabile Maresa D’Arcangelo e ad altri alunni del Liceo, aveva organizzato la partecipazione degli studenti alla manifestazione sindacale. Si discuteva ovunque. Noi universitari godevamo di una ammirazione eccessiva da parte deim liceali. Io fui subito ridimensionata quando non appoggiai la proposta di bloccare il Cantagiro a San Vito. Paternalismo!
Erano anni in cui si viveva molto insieme. La sezione del P.C.I. dove ti facevano la predica, quella del P.S.I. dove ti davano ragione. Con i compagni del P.S.I.U.P. le discussioni erano interminabili e si trasferivano nella passeggiata per il Corso. A volte ci ospitava, nella Camera del Lavoro, il Segretario Nicola Stella. Era sinceramente disponibile verso le richieste dei giovani, ma ribadiva sempre l’importanza dell’organizzazione sindacale per la difesa dei diritti dei lavoratori. Io, che ero diventata estremista, gli devo molto. E poi c’era il “Jean Vigo”, il circolo del cinema creato da Benito e Tonino Lanci, che nella Lanciano un po’addormentata degli anni Sessanta ci aveva fatto conoscere Autori sconosciuti e avviato alla complessità dell’analisi critica.
Benito era stato il nostro professore di Greco e ci aveva fatto amare appassionatamente quella lingua. Passando da un verso greco ad una citazione
dialettale, riusciva a divertirci e a farci capire la necessità del rigore scientifico. La sua casa era sempre aperta, gli alunni più vecchi incontravano i più giovani e il Prof, che aveva pochi anni più di noi, continuava a seguirci, a discutere, accettando non senza ironia i nostri entusiasmi.
In questo clima ho conosciuto Berta che allora era molto “on the road” nei suoi continui spostamenti: Pescara, dove si era trasferita per sposarsi (troppo presto) con Peppe Mari, Castel Frentano, patria di Lucio Bucci, Spoltore. Qui il Comune aveva concesso a Lucio e Peppe l’uso di un Castello per le loro creazioni artistiche. Ci avevano lavorato più di un anno e ne era venuta fuori un’opera incredibile. Berta, attraversando quell’affascinante labirinto tra strutture alla Ceroli e riciclo di oggetti perduti, mi spiegava in maniera convincente, le ragioni di quell’intervento.
Anche il viaggio in Francia con Maresa, Peppe e Lucio, raccontato da Berta, aveva il sapore di una creazione artistica.
Per imitazione Benito, io e altri due amici fummo coinvolti nel progetto di un lungo viaggio in Europa attraverso Francia, Belgio, Olanda, Danimarca e Germania. A Nord fino ad Helsingor, ad Est fino a Lubecca. Fino alla “finazione de lu monn!” aveva commentato Benito… “insomma dobbiamo vedere tutto, tranne Domodossola”.
Partimmo con Peppe e Berta, eravamo in sette con due macchine, avremmo potuto fare la pubblicità alla Fiat , una 500 e una 124. Ognuno aveva messo nella cassa comune i soldi che aveva: comunismo realizzato. A Parigi trovammo un alberghetto a 1000 lire a notte e Berta ebbe il coraggio di chiedere “avec le petit dejeuner ?” ricevendo dal portiere una risposta a sopracciglio alzato… Quella domenica i musei erano gratis: Louvre e Orangerie nello stesso giorno, contro ogni indicazione pedagogica di fruizione museale. Bisognava farsi bastare i soldi e Berta ed io imponemmo un drastico taglio sul cibo: due panini al giorno, e l’obbligo di mangiare tutta la colazione in albergo, quando c’era. I musei erano salvi! Arrivammo finalmente ad Helsingor. Grande delusione, c’era il sole, il castello di Amleto non era medievale, nessuna suggestione di fantasmi! C’era un’atmosfera domenicale di festa e i bambini si facevano il bagno in quell’acqua gelida. Peppe ci fotografò sedute sugli scogli. Insieme a quella di Calais è l’unica fotografia che mi resta di quel viaggio.
Ci sono state altre esperienze ed altri viaggi. Quasi una vita insieme. Voglio ricordare solo un particolare del viaggio in Turchia: con un vocabolarietto
piccolissimo, dopo qualche giorno, Berta riusciva a parlare in turco! Bisogna proprio riconoscere che la sua capacità di comunicazione è sempre stata eccezionale.
Giovanna Alberta Campitelli: I miei ricordi tra Fossacesia e Lanciano.
Sono nata a Fossacesia e i miei primi dieci anni di vita sono trascorsi tra il paese,
dove abitavo con mia madre e mio fratello (mio padre era quasi sempre all’estero per lavoro) e la marina, dove abitavano i miei amatissimi nonni materni Beatrice e Adolfo. Appena finivano le scuole andavo da loro, nella casa con giardino che si affacciava sulla via Nazionale, la principale arteria di collegamento nord-sud prima dell’autostrada. Per andare al mare dovevamo attraversare la strada e quindi la ferrovia, altro ostacolo.
Mia nonna mi accompagnava, mi lasciava con gli amici e poi tornava a prendermi per il pranzo; il pomeriggio, dopo il sonnellino d’obbligo, ancora mare. La marina di Fossacesia aveva un solo stabilimento “La
Sirenella” (poi ne vennero altri e altri… e ora tutto il lungomare è un susseguirsi di abitazioni e ristoranti), dove non mi era permesso andare, era luogo peccaminoso, la sera si ballava… e la musica arrivava fino alle mie finestre.
Subito dopo ferragosto arrivava puntuale il primo temporale che “spezzava” l’estate e per noi bambini era un rito correre sulla spiaggia subito dopo per raccogliere i cavallucci e le stelle marine lasciati dalla mareggiata. Poi l’estate non
era più la stessa, ma si continuava pigramente a scendere al mare…
Nel piccolo ambiente conoscevo tutti e tutti mi conoscevano, non era difficile; la mia maestra Grazia Crudele Contini mi voleva molto bene, anche se per me il primo anno di elementari fu una grande noia. Mia madre, infatti, da quando avevo tre anni, cominciò a comprarmi il “Corriere dei Piccoli” e me lo leggeva tutto, mi leggeva anche altre fiabe e così avevo imparato pian piano a leggere e a scrivere. Ben prima di cominciare la scuola già scrivevo brevi letterine al “mio papà lontano” e quindi ritrovarmi sui banchi a fare aste e compitare le lettere dell’alfabeto, come allora usava, era davvero per me incomprensibile.
Al momento di iniziare le medie, benché vi fossero anche a Fossacesia, i miei mi iscrissero a Lanciano, per farmi uscire dal ristretto ambito del paesello, e iniziò così la mia carriera di pendolare. Alle 7,30 ogni mattina si prendeva la “corriera” di Di Fonzo che raccoglieva studenti non solo a Fossacesia ma anche a Santa Maria Imbaro, a Mozzagrogna, a Villa Romagnoli, tutti i paesi sulla strada fino a Lanciano. Nel tragitto di mezz’ora si ripassava la lezione ma anche si stringevano amicizie, tra i più grandi nascevano innocenti flirt.
Il primo giorno di scuola alla media Giuseppe Mazzini è nata l’amicizia che mi ha accompagnato in tutte le vicende della mia vita e che continua ad esserne parte, tra gli affetti più cari, con Maresa D’Arcangelo. Abbiamo cominciato a parlare incessantemente quel lontano giorno del 1962 e ancor oggi quando ci incontriamo è difficile farci smettere…
Eravamo entrambe divoratrici di libri, passione che ci ha subito accomunato, alimentata con grande saggezza dalla nostra bravissima insegnante di lettere, Carmen Stellacci de Berardinis, che oltre al gusto per la lettura ha saputo suscitare
in noi il piacere della scrittura… non poteva immaginare con quali conseguenze!
Nella classe tutta femminile, con i nostri bei grembiuloni neri, si studiava in modo tradizionale ma si sperimentavano anche forme che oggi chiameremmo di “autogestione”: quando la Professoressa Stellacci si assentava per breve tempo,
anziché chiamare supplenti tappabuchi, incaricava noi di fare lezione e ci alternavamo, ognuna con l’argomento che le era stato assegnato, parlando alle nostre compagne che ascoltavano disciplinatamente. Ricordo la Preside, un donnone autoritario, che di tanto in tanto occhieggiava socchiudendo la porta, non riuscendo a capacitarsi del silenzio che regnava in aula!
Il ginnasio ha segnato un incontro determinante per la mia crescita culturale, con Antonio (Tonino) e Benito Lanci. Tonino era il nostro Professore di Italiano, Latino, Greco, Storia e Geografia, quindi passavamo con lui la quasi totalità del nostro orario scolastico. Era durissimo: benché molto giovane (aveva all’epoca 27 anni!!!), la sua severità era incredibile, ci sottoponeva ad interrogazioni terrificanti, con frasi da tradurre in latino all’impronta, alla lavagna, zeppe di periodi ipotetici incardinati come scatole cinesi… Ma ci introdusse all’analisi del testo, alla critica,
alla linguistica: a 14-15 anni discettavamo di strutturalismo e di De Saussure, dei formalisti russi, dell’analisi del romanzo storico in Lukacs, della Scuola di Francoforte, dell’esistenzialismo, di Freud e delle diverse scuole di psicanalisi.
Confesso che gli appunti delle sue lezioni di letteratura italiana mi sono stati utili perfino per gli esami universitari, tanto erano originali e ricchi di spunti critici innovativi! E durante il ginnasio la conoscenza col fratello più grande, Benito: il suo spettacolo “Chi di voi chi di noi” al Teatro Fenaroli, nel 1966, fu una rivelazione. Anche a Lanciano si poteva fare teatro d’avanguardia, ciò che leggevamo sull’Espresso non era solo altrove, anche noi potevamo far parte di un
nuovo modo di fare cultura. E poi l’esperienza del cineforum “Jean Vigo”, organizzato da Tonino e Benito, che portò a Lanciano il cinema dei Paesi
dell’Est, della nouvelle vague…con accesi dibattiti ai quali anche noi “piccoli” del ginnasio avevamo l’ardire di intervenire. Con Maresa si decise che dovevamo a tutti costi essere allieve del Professor Benito Lanci al liceo e che non potevamo rischiare di finire in un’altra sezione. Così, non potendo contare su nessuna “raccomandazione”, un pomeriggio ci facemmo coraggio e ci presentammo
a casa sua, chiedendogli con molta franchezza di poter studiare con lui. Fu la prima di infinite volte che entrammo in quell’appartamento di via Montegrappa 13: il suo studio sarebbe stato un punto di ritrovo costante per noi, dove discutere
di tutto. Oltre a quanto ci insegnava in classe, Benito ci educava alla musica classica, facendoci ascoltare brani e commentandoli, ci recitava versi in sanscrito dai Veda o in russo da Puskin, ci consigliava letture, si discuteva di quanto il mondo stava cambiando con il ’68…
Il gruppo si era ampliato, era sempre con noi Roberto Centazzo, che così compensava la frustrazione di non essere in classe con noi…, poi Liliana Ciancetta, Sandra Mazzoccone, Marida Gaeta, Baldino Di Mauro, Silvino D’Ercole tra quelli del Liceo, ma si aggregavano anche studenti di altre scuole.
Benito ci proponeva Bach e Schubert, a nostra volta gli presentavamo i Pink Floyd, i Cream, i Vanilla Fudge, i Velvet Underground e ovviamente Bob Dylan e Joan Baez, i Beatles e i Rolling (noi preferivamo i Rolling, i quattro di Liverpool erano troppo perbene…), gli parlavamo di Woodstock. Benito ascoltava la nostra musica e noi la sua, in una situazione di perfetta parità: in quei pomeriggi ci davamo del tu, ma ovviamente in classe rientravamo nei nostri ruoli, anche se le sue lezioni erano comunque rivoluzionarie. Si lavorava in gruppo, lui seduto tra i banchi con noi, si studiava la tragedia greca recitando, il livello delle sue lezioni era universitario, me ne resi conto molto più tardi.
Se Benito era il mito “culturale”, il punto di riferimento per ogni confronto, il nostro mito “politico” era Nerina Scopinaro. Era più grande di noi, già all’università a Roma, ma aveva recitato in Chi di voi chi di noi e si raccontavano di
lei epiche gesta negli scontri che nel ’68 avvenivano all’Università. Anche Lanciano ebbe il suo maggio nel ’68, innescato dallo sciopero delle operaie della Manifattura Tabacchi, con le quali noi studenti solidarizzammo, ovviamente. La
cittadina era bloccata, dall’Aquila arrivò un battaglione della Celere a fronteggiare le manifestazioni e noi eravamo in prima linea, anche se io, Maresa e Roberto (ormai indivisibili) eravamo imbevuti del credo della non violenza, tanto da
partecipare a Bologna, di nascosto dalle nostre famiglie, inventando una fantomatica gita scolastica, ad un convegno promosso dal Centro Aldo
Capitini, promosso dal leader della nonviolenza Pietro Pinna.
Lanciano era quindi per me il luogo dove passavo tutta la giornata, a scuola al mattino e nel pomeriggio a studiare insieme agli amici, a casa
di Maresa o in biblioteca. Lanciano era anche il sapore delle feste di settembre,
con la pizza ripiena di peperoni, o la festa di Sant’Egidio, alla fine di agosto, con le brocche decorate con la figura di San Rocco; era anche la libreria di Alfredo Barrella a Corso Roma, minuscolo antro dove però trovavamo la rivista Quindici e tutti i libri che parlavano della rivoluzione che stava cambiando il mondo, del mito di Kennedy, di Martin Luther King, del black power ma passando per il venerato Gandhi.
Gli anni del liceo sono stati esaltanti: nonostante la chiusura reazionaria di mio adre e il suo controllo esasperato, riuscivamo con mille escamotages a vivere in pieno nel mondo in fermento, la piccola città di provincia non era affatto chiusa in se stessa, la stagione teatrale era delle più interessanti e anche se vi era pur sempre la Casa di Conversazione (che noi chiamavamo Casa di Conservazione) dove si riunivano a giocare a carte o a chiacchierare gli esponenti della buona borghesia, a saperle trovare vi erano mille opportunità che davano la possibilità di “crescere”. Il nostro giornalino scolastico, non più goliardica espressione dei gossip della scuola, ospitava articoli sui mass media, sulla libertà sessuale, sul linguaggio della pubblicità, con straordinarie copertine disegnate da Lucio Bucci che, con Peppe Mari e Tonino Allegrini, faceva ormai parte del nostro gruppo.
La mia vita lancianese si è chiusa con la maturità, brillantemente superata grazie ad una eccellente preparazione con Benito (formalmente ci insegnava solo Greco ma di fatto spaziava dalla letteratura italiana alla filosofia alla storia dell’arte) e ad una commissione che apprezzò la “tesina” sperimentale (si era alle prime esperienze di questo tipo) sulle avanguardie culturali, dal Dadaismo a Marcuse e a Freud.
Dopo un’estate di viaggio avventuroso in Francia, sempre insieme a Maresa ci iscrivemmo all’Università di Firenze, per cominciare un nuovo percorso, che ha condotto me a vivere a Roma, subito dopo la laurea, mentre Maresa restava
a Firenze.
A Fossacesia abitavano sempre i miei genitori, mentre mio fratello Flavio era a Bologna, dopo la laurea in Statistica lavorava all’IBM, sposato con Teresa, anche lei di Lanciano.
con la mamma Ester e il fratello Flavio
Ovviamente a Natale, Pasqua e in estate ci ritrovavamo tutti nella casa natale, ma sistematicamente la prima telefonata appena arrivavo era per Benito e ritrovarci a casa sua con Maresa era appuntamento irrinunciabile. Ci aggiornava sui compagni di scuola (spesso ne incontravamo qualcuno da
lui), su quanto accadeva a Lanciano e quel filo così forte che ci aveva unito è rimasto sempre saldo, finché lui non ci ha lasciato. Non avevamo condiviso solo discorsi, ma anche, nell’estate 1971, un viaggio memorabile con Benito, Nerina
Scopinaro, Peppe Mari, Tonino Allegrini e un ragazzo che faceva l’assistente del
poeta, prendeva appunti di quanto diceva ma gli lavava anche i calzini…. Con la 1100 di Benito e la Fiat 500 di Peppe, furono 5 mila chilometri tra Francia, Olanda, Belgio, Danimarca, Germania, densissimi di scoperte ma anche di incontri.
Ma il mio legame con Lanciano non si è esaurito con i legami familiari: nel 1984, vivevo ormai a Roma da tempo, ho incontrato mio marito Gianni che, quando seppe che ero di Lanciano mi disse “io mi chiamo Tinari”. E infatti, pur non essendo mai stato a Lanciano, la sua famiglia vi era ben radicata, con una fitta rete di parentele, e suo padre aveva frequentato il liceo nello stesso edificio sul Corso dove avevo passato gli anni forse più intensi della mia vita. Così sono stata
io a fargli conoscere la nostra terra e gli amici di Lanciano, in primo luogo Benito, che lo aveva accolto raccontandogli tutta la storia dei Tinari…
I miei appuntamenti periodici con Lanciano sono ovviamente continuati: la mamma ancora presente e attiva e mio fratello con la famiglia dal 1998 tornato in Abruzzo, aprendo una libreria (la Gulliver di vicolo Cacciaguerra), suo antico
sogno, i nipoti Lorenza e Dario, amatissime presenze.
Ora la libreria di Flavio, quando torno a Lanciano, è il mio punto di aggregazione: lì ci ritroviamo con Maresa, con Nerina, con Roberto, e di tanto in tanto riemergono legami con i compagni di scuola, come Anna Ciarelli, Danilo Marfisi, Remo Rapino, Luciana Di Mauro, che ci fanno riprendere discorsi mai interrotti…
RICONOSCIMENTI e TESTIMONIANZE di Amici e Colleghi: Alessandro Cremona, Daniela Fonti, David Freedberg, Elisabetta Mori.
Premio Acquasparta nel 1987 per il volume “Villa Torlonia. L’ultima impresa del mecenatismo romano”, pubblicato con A. Pinelli, B. Steindl e M.F. Apolloni.
Premio Grinzane Cavour-Giardini Hanbury nel 2004 per il volume “Villa Borghese.
Da giardino del Principe a Parco dei Romani”, edito dal Poligrafico dello Stato.
Nomina a “Chevalier des arts et lettres” da parte del Ministero della Cultura della Repubblica Francese.
Alessandro Cremona, Storico dell’Arte, Ufficio Ville e Parchi Storici, Sovrintendenza Capitolina: “La mia “capa”.
Il 12 dicembre 1989 affrontavo per la prima volta le scale dell’“Albergo della Catena”, un piccolo edificio medievale appollaiato superbamente sul podio del Tempio di Apollo Sosiano e sfrontatamente affacciato sul Teatro di Marcello, sede dell’Ufficio Ville della Sovraintendenza del Comune di Roma a cui ero destinato come “Istruttore Direttivo ai Musei, Monumenti, Gallerie e Scavi” di fresca nomina. Sbarcato nell’ampio salone di rappresentanza è lì che ho incontrato, per la prima volta, Alberta Campitelli, allora funzionario della stessa struttura: la cordialità con cui venni accolto e lo slancio con cui mi veniva illustrato il lavoro pionieristicamente avviato da anni e da uno sparuto gruppo di persone, che in quel momento si rafforzava finalmente di nuove energie umane, affievolirono da un lato le mie ansie da timidezza nei confronti di un mondo precostituito e saldo
nell’autoconsapevolezza delle sue capacità professionali e intellettuali, ma aumentarono le paure di inadeguatezza verso un compito che si prospettava difficile, irto di difficoltà e bisognoso di competenze e perizie particolarissime, non ricavabili dai semplici piani di studio universitari o dalle preparazioni di dettaglio per guidare gruppi di persone alla scoperta di un monumento o di un’opera d’arte.
Riflettere oggi sul rapporto che via via si è instaurato con Alberta, e che dura ormai da ventitré anni, mi porta a sottolineare una sua peculiarità “problematica”, che, forse nel mio caso, ha rappresentato un indirizzo per il mio futuro professionale e di storico dell’Arte. Alberta, come tutte le persone dotate di rigore formativo, competenza e, elemento non trascurabile, caparbietà e determinazione
nel lavoro, si mostra, e vieppiù si mostrava allora, esigente e inflessibile nei confronti dell’impegno altrui, soprattutto di chi ha ricevuto da lei fiducia e pieno mandato. La consapevolezza di possedere un’abilità forgiata sul campo, nella temperie forse irripetibile della rivoluzione culturale maturata nella lunga stagione assessorile di Renato Nicolini, necessaria a muoversi nel circospetto, e spesso intricato, rapporto della Pubblica Amministrazione con il mondo della cultura, conduce Alberta a sollecitare e a pretendere dai suoi collaboratori analoghe peculiarità, spesso però non raggiungibili, vuoi per differenze formative e di storia personale, vuoi per motivi caratteriali. Ma le inevitabili differenze non innescano, e non hanno innescato, però, atteggiamenti automatici di diffidenza e di preclusione.
Altra dote di Alberta è quella del rispetto della differenza, purché essa s’inscriva in un andamento dialettico dove gli approcci e le proposte dell’altro siano ricercati con approfondimento e intelligenza finalizzati alla soluzione dei problemi. Approfondimento e intelligenza: il rispetto di queste qualità credo sia stato il conduttore che ha reso possibile lo scambio di energie fra Alberta e me. Energie che in una prima fase si sono diffuse dal generatore della sua personalità e del suo ruolo all’accumulatore della mia iniziale inesperienza di giovane matricola, per poi, piano piano, stabilizzarsi in un flusso continuo di ‘corrente’, di scambi intellettuali e professionali.
Ho così imparato i trucchi del “mestiere” di funzionario comunale, ma ho ricevuto anche consigli, suggerimenti, indicazioni e correzioni sul più ‘nobile’lavoro di ricerca storica che quotidianamente affrontiamo per conoscere, custodire e
valorizzare i beni che dobbiamo gestire. D’altro canto Alberta non ha mai interpretato il ruolo dello studioso possessivo e geloso delle proprie informazioni e scoperte: piuttosto mi sono visto offrire interi quaderni di appunti dove erano
confluite tracce e scoperte di notizie utili alle mie ricerche, faticosamente compilati nelle lunghe peregrinazioni in archivi e biblioteche affrontate da Alberta negli anni del suo faticoso e “solitario” viaggio nell’immensa plaga del patrimonio
monumentale di Roma.
Questo flusso di scambi ha consentito da un lato lo sviluppo delle mie possibilità di studioso e curatore di beni culturali, dall’altro il privilegio di collaborare con Alberta in alcune delle sue notevoli iniziative di studio e bibliografiche, divenute
ormai caposaldo per la conoscenza delle ville e dei giardini storici di Roma: il Convegno del 1994 sul verde a Roma tra il 1870 e il 1930, il piano di utilizzo di Villa Ada del 1995-96, il fondamentale regesto dei giardini pubblici romani intitolato “Verdi delizie”, pubblicato nel 2005, nonché gli apporti di ricerca su alcuni temi del definitivo studio campitelliano sui Giardini Vaticani, fino a giungere alla co-curatela del sontuoso e recentissimo Atlante storico delle Ville e dei Giardini di Roma, edito da Jaca Book nel 2012.
Tutto ciò non fa parte solo della innata generosità di Alberta Campitelli, ma anche della sua intelligenza culturale e del suo orizzonte etico e deontologico: come tutti coloro che sono consapevoli del proprio valore, Alberta non teme il valore degli altri, anzi lo esalta offrendo il proprio appoggio in nome di un non ancor dissipato ideale di comunità scientifica, di circolazione del sapere, che ancora adesso considero fondamento e garanzia del valore “umanistico” della cultura.
Che questa “corrente” ideale possa continuare a fluire illuminando il nostro tempo a venire.
Daniela Fonti, Docente di Storia dell’Arte Contemporanea, Università La Sapienza, Roma:
Il metodo di lavoro “Campitelli”.
In un Paese come il nostro che tende idealisticamente a separare la cultura teorica dai suoi ambiti applicativi, Alberta Campitelli è sempre riuscita a coniugarli nel modo più felice. Indagini archivistiche, ricostruzioni storiche e letterarie, analisi iconografiche, ricognizioni dei repertori d’immagini, insomma tutto quello che sostanzia il lavoro dello storico e dà struttura alle sue ipotesi, sono il metodo costantemente seguito da lei e da sempre riversato nell’ambitoterribilmente vasto e complesso della gestione e del recupero dei beni culturali che da molti anni l’Amministrazione capitolina le ha confidato. Per esemplificare quel percorso virtuoso di sintesi fra teoria e prassi che da molti anni fa di Alberta un esempio di metodo di lavoro al quale ogni altro Dirigente dei beni culturali dovrebbe ispirarsi, (e che è stato per questo oggetto di prestigiosi riconoscimenti internazionali), vorrei ricordare l’esempio del recupero e restauro della Casina delle Civette di Villa Torlonia che ha condotto alla creazione di uno dei musei più affascinanti e ammirati della Capitale, progetto al quale ho collaborato con grande entusiasmo e in perfetta sintonia, da cui è scaturito un profondo e sincero legame di amicizia.
Da responsabile dell’Ufficio Ville e Parchi Storici propone agli inizi degli anni Novanta il recupero integrale della suddetta Casina delle Civette, un padiglione appartato fra i tanti disseminati (e da lei oggi tutti restaurati) manufatti architettonici del complesso della storica Villa Torlonia in Roma che che versa in cattive condizioni, come gli altri ed ha subito un incendio devastante e saccheggi vandalici. In passato si è pensato di abbatterlo e le occorre vincere qualche diffidenza per convincere l’Amministrazione della possibilità che si possa recuperarne una immagine organica. Campitelli s’innamora – letteralmente – della storia di questo edificio strano, immaginato ai primi del Novecento come studiolo da uno scontroso principe innamorato della notte e dell’alchimia. Il restauro filologico è da lei condotto sul campo, raccogliendo i pezzi di stucchi, maioliche, ceramiche rimasti nei depositi e risparmiati dai vandali, ma anche in archivio, ripercorrendo tappa dopo tappa la storia delle trasformazioni di questo curioso edificio divenuto elegante villino liberty, un unicum in Italia per la straordinaria
collezione di vetrate disegnate da autori dai nomi prestigiosi. Al rinvenimento e alla ricollocazione delle vetrate (più di ottanta) commissionate dal Principe Giovanni Torlonia jr. ai più importanti artisti della sua epoca, Alberta dedica una tenacia diventata nell’ambiente leggendaria; le recupera tutte, insieme ai loro bozzetti, e restituisce al Villino, con tutta la sua magia primo Novecento, il fascino delle iridescenti figurazioni liberty immaginate dagli artisti. Ma non è tutto: prima
di essere definitivamente ricollocate nei loro siti originari, le vetrate della Casina vengono esposte, insieme a tante altre prodotte dalla stessa Officina artistica romana, in una splendida mostra allestita nel 1992 al Palazzo delle Esposizioni
di via Nazionale; così la ricerca scientifica prodotta dai vari specialisti, da lei coordinati, per ricostruire in mostra quella straordinaria stagione delle arti decorative, non rimane circoscritta all’evento espositivo, ma costituisce il nerbo delle successive acquisizioni e dell’allestimento definitivo di quello che è oggi il museo della vetrata liberty italiana alla Casina delle Civette.
Ecco quindi un percorso esemplare del “metodo Campitelli”, così estraneo al fascino tutto mediatico dell’evento temporaneo che si brucia nello spazio di una mostra, sia pure di qualità: l’esigenza dell’Amministrazione pubblica di recuperare
una parte del proprio patrimonio artistico si fa opportunità di studio e di verifica di un metodo del restauro architettonico coniugato alla ricerca storico-artistica; diventa occasione di comunicazione più ampia attraverso una mostra e ritorna
nuovamente al patrimonio pubblico, in forma di originale Museo, ora assai più arricchito che nella sua condizione originaria. Questo percorso, così apparentemente logico e semplice – ma così difficile da realizzare nell’ambito della gestione pubblica – Alberta Campitelli lo ha spiegato e illustrato in tante sue conferenze internazionali, seminari e lezioni tenute in prestigiose università italiane e straniere; un impegno nell’ambito della ricerca storico artistica di rigore e latitudine così ampi da sostanziare il ricco catalogo delle sue pubblicazioni scientifiche.
La sua concezione del bene culturale come bene in primo luogo storico e come patrimonio di tutti, che alla fruizione pubblica è destinato, non si limita solo alle opere d’arte ma include ogni aspetto degli edifici sui quali interviene, dalla decorazione architettonica dei prospetti, agli interni come agli arredi mobili. È così balzato alla curiosità delle cronache il suo intervento di recupero della camera da letto di Benito Mussolini nel Casino nobile di Villa Torlonia, motivato non tanto dal valore antiquariale di quei pezzi, quanto dalla sempre legittima volontà di restituire alla conoscenza pubblica un bene riesaminato nell’arco dell’intera sua vicenda storica.
Ma un ben più decisivo valore assume l’altro aspetto del sua attività, quello che riguarda gli interventi di restauro e ripristino del verde storico, tra cui i giardini segreti di Villa Borghese, che nel 1999 sono stati riportati all’assetto seicentesco.
Anche in questo caso si ritrova l’immagine originaria del giardino, travisata da innumerevoli interventi posteriori, sulla base di una accurata documentazione storica che permette un recupero filologico e consente l’integrazione del manufatto architettonico nella sua cornice ambientale originaria. Alle originarie conoscenze storico-artistiche Alberta Campitelli è venuta così, nell’ultimo ventennio, affiancando profonde competenze botaniche che hanno sorretto gli
interventi di recupero del verde storico in tante ville romane a lei affidate. Ma ancora una volta la prassi apre inedite strade alla ricerca e all’indagine teorica: nascono così, fra i tanti studi da lei condotti, gli straordinari volumi, così innovativi
nella prospettiva storiografica, dedicati a Villa Borghese, da giardino del principe a parco dei Romani (2003), ai Giardini vaticani dal Medioevo al Novecento, (2009), al recente Atlante Storico delle Ville e Giardini di Roma (2012, con Alessandro Cremona), un contributo definitivo sull’argomento offerto alla comunità dei tanti felici utenti del verde pubblico romano, e dei tanti grati studiosi.
David Freedberg, Professore di Storia dell’Arte e Direttore dell’Accademia Italiana di Studi Avanzato ina America alla Columbia University.
“For Alberta Campitelli from Lanciano to Rome: Scholar, Conservator , Friend”.
Documento originale in lingua Inglese, tradotto.
Quando ho incontrato per la prima volta Alberta Campitelli, più di venti anni fa, era già nota come una delle migliori storiche dei giardini. Tutti la consultavano e riconoscevano la sua autorità in quel campo. Inoltre il suo forte impegno come
direttore delle Ville e dei Giardini di Roma ci garantiva sul futuro di questa preziosa parte del nostro patrimonio culturale, per quanto ognuno di noi possa essere tranquillo nel clima di debolezza e incertezza che caratterizza la conservazione e protezione della Cultura nell’attuale clima politico italiano.
Alberta ha sempre lavorato con ferma determinazione, sostenuta da un’impeccabile preparazione. È sempre stata il punto di riferimento per tutti
noi che ci occupiamo della storia dell’incomparabile patrimonio culturale di Roma.
È conosciuta, ovviamente, non solo a Roma e trovarsi con lei in altre città permette di verificare quanto la sua competenza sia riconosciuta al di fuori della sua città di adozione.
Sul piano internazionale – da Washington a Varsavia con innumerevoli tappe intermedie – tutti sono a conoscenza dei suoi risultati e dei suoi tanti libri, in particolare quelli su due significativi giardini romani, Villa Borghese e i Giardini Vaticani, migliorando così la conoscenza non solo di giardini pubblici ma anche del più appartato dei grandi giardini.
E nonostante il prestigio raggiunto, Alberta non ha mai fatto dimenticare a nessuno di essere di Lanciano. È stata la prima cosa che mi ha detto di lei. Non dimentica mai di parlare della sua storia e della sua crescita culturale iniziata a Lanciano.
È facile quindi immaginare con quale piacere, come amico di Alberta, quando ho trovato in una libreria di New York una serie completa di pubblicazioni della Casa Editrice Rocco Carabba. Da quella straordinaria serie – da Pirandello e D’Annunzio
fino alle opere popolari di G. Finamore e all’edizione storica di Ossi di Seppia di Montale – ho realizzato come la cultura di Alberta si sia formata. E ho potuto apprezzare appieno la sua soddisfazione per il fatto che suo fratello Flavio sia tornato a Lanciano con la sua famiglia per aprirvi una libreria, in tempi sempre più difficili per i libri.
Ho continuato a conoscere Alberta nei suoi diversi uffici nel cuore della Roma storica: dalla sua stanza sul Teatro di Marcello, alla Meridiana di Villa Borghese, agli uffici sotto la sinistra Rupe Tarpea. Per molti anni ci siamo incontrati a Piazza
della Consolazione, a metà strada tra il Residence al Velabro, dove risiedevo, e il suo ufficio nei pressi del Campidoglio (quando non ci incontravamo nella sua eponima Piazza Campitelli). La trovavo sempre impegnata a risolvere i problemi della sua amata Villa Borghese o a fare progetti per Villa Torlonia.
In effetti, a parte il suo impegno nelle ricerche storiche negli archivi di Roma, che Alberta conosce come il palmo della sua mano, il progetto del quale probabilmente è più orgogliosa è il restauro di Villa Torlonia e, in particolare, dell’affascinante Casina delle Civette. Si tratta di un capolavoro di attento restauro che indubbiamente ha riportato in vita la Villa e la Casina stessa. Per i miei gusti,
la Casina delle Civette fa molto XIX secolo, ma è indicativa dell’interesse senza pari di Alberta per tutte le attività di cui si è occupata, dal restauro di edifici agli importanti interventi su giardini del XVI e XVII secolo. Passeggiare con lei nei giardini di Roma (ma anche di Firenze, Padova o del Viterbese) significa scoprire ogni volta qualcosa di nuovo. Se i miei occhi sono sempre stati concentrati su periodi storici più antichi, la sua visione più ampia mi fa capire cos’altro c’è oltre la stretta visuale di un gusto convenzionale.
Ma in Alberta le capacità sociali sono almeno pari a quelle intellettuali. Le piace mettere in contatto persone e garantirsi che le attività della mente siano accompagnate dall’amicizia. Devo a lei la mia amicizia con Francesco Stefanori, con il quale Alberta ha collaborato con successo in tanti progetti della Sovrintendenza, e con sua moglie Elisabetta Mori, archivista presso gli Archivi Capitolini, così come con Maresa D’Arcangelo e con molti altri che contribuiscono alla vita culturale e alla conservazione del ricco patrimonio culturale d’Italia.
È soprattutto per la sua intelligenza ad ampio raggio, per la sua energia senza limiti e per il suo entusiasmo che Alberta è amata ed apprezzata dai suoi colleghi ed amici non solo italiani ma da quelli innumerevoli che ha in giro per il mondo, che la stimano per la sua perspicacia e competenza. Tutti loro hanno imparato come Alberta si batte per le cose in cui crede. Tutti loro fanno affidamento sui
suoi giudizi e sulla sua capacità di mettersi in gioco. E tutti approveranno l’onore di averle concesso il Frentano d’Oro. Tutti saranno felici e onorati di questo premio, così come senza dubbio anche Alberta è orgogliosa per il riconoscimento da parte della sua città, che lei ha portato sempre nel cuore nel corso della sua carriera e il cui nome lei ha divulgato nel mondo.
Elisabetta Mori, archivista storica e scrittrice: “Il lato migliore delle cose”.
Io credo che la mia amicizia per Alberta abbia molto a che fare con il suo essere abruzzese. È difficile spiegarlo perché si tratta di rendere a parole e di razionalizzare esperienze e sentimenti molto antichi, lontani, che fanno parte di
un’infanzia trascorsa tra Avezzano e Sulmona al seguito della mia famiglia toscanissima adottata per anni, senza riserve, dall’Abruzzo. Alberta, come quelle mie antiche compagne di giochi, porta con sé una saggezza atavica, una rocciosa
tenacia e insieme una straordinaria curiosità per persone, cose e idee provenienti da mondi diversi. È per questo che la sua rete di relazioni tende ad allargarsi a dismisura, senza che lei ne perda minimamente il controllo. E per rendere più tenace la rete lei, come fanno le ricamatrici con i fuselli del tombolo, intreccia abilmente le amicizie tra di loro, creando obiettivi comuni, rendendola feconda di idee, di progetti e di fatti.
Ci conosciamo ormai da più di trent’anni e abbiamo condiviso lessici lavorativi e familiari: nascite di figli, perdite di affetti, compleanni, vacanze, studi, pubblicazioni, successi, insuccessi. La vita insomma, nel suo svolgersi, ora zoppicante,ora danzante, ora in corsa. Dipende da come la vedi. Alberta la vede quasi sempre in corsa verso un obiettivo, un traguardo da raggiungere a costo di ogni sacrificio.
L’abbiamo vista nel tempo mandare a memoria i nomi delle centinaia di essenze arboree da proteggere e ripristinare nelle ville di Roma, avviare studi importanti su una materia come i giardini fin’allora quasi ignorata, prendere il diploma di archivistica per poter più facilmente compulsare gli archivi, trovare preziosa e rara documentazione sui manufatti artistici più effimeri che esistano, pubblicare importanti volumi. I suoi successi sono frutto di intelligenza, costanza e tenacia, ma soprattutto della rara capacità di non lasciarsi abbattere mai e di vedere sempre il lato migliore delle cose.
Quando si è trattato di far leggere a qualcuno la prima stesura del libro a cui tenevo più di ogni altro, non ho avuto dubbi. Alberta non mi avrebbe mai illuso con false adulazioni, ma non mi avrebbe mai nemmeno criticato in modo distruttivo. L’avrebbe letto con molta attenzione, mi avrebbe consigliato e soprattutto incoraggiato. Così è stato, perché lei vede il lato migliore delle cose, è sincera e quando racconti una storia che le piace le brillano gli occhi, come alle mie piccole compagne di giochi tanti anni fa.
PUBBLICAZIONI: presenti nel libretto della Campitelli o su Vs. cortese richiesta.
RASSEGNA STAMPA post-premiazione.
1.10.2013
“IL FRENTANO D’ORO” EDIZIONE 2013 A GIOVANNA CAMPITELLI – abruzzoinvideo
https://www.abruzzoinvideo.tv/eventi/quot-il-frentano-d-oro-quot-edizione-2013-a-giovanna-campitelli__a20491.html
Si ringrazia per il sostegno dato al Frentano d’Oro di quest’anno:
Il Comune di Lanciano nella persona del Sig. Sindaco Dr. Mario Pupillo.
Il Gruppo Edmondo Costruzioni
La Ferrovia Adriatico-Sangritana
D’Orsogna Dolciaria
La Croce Gialla – Lanciano